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26 - Modellismo giuridico e identità cooperativa

Postato il 16 Novembre, 2014 da Guido Bonfante

logoLa cooperazione diffusasi sul finire dell’ottocento in tutta Europa e in breve nel resto del pianeta ha assolto, fin dalle origini, si può dire una varietà di funzioni: da strumento di reazione anticapitalistica e di sostegno delle lotte operaie, a mezzo di introduzione di nuovi ceti sul mercato, a strumento di politica economico- sociale dello Stato.

E proprio questa varietà di funzioni ha generato un polimorfismo cooperativo che ha reso più difficile la ricerca dei caratteri identitari dell’istituto oggetto della analisi più disparate degli economisti e dei giuristi. In questo contesto si spiega perché il nostro legislatore – e non solo il nostro – abbia optato per scelte normative poco incisive sul piano dell’identificazione dei caratteri distintivi della cooperativa accontentandosi in passato di statuire essenzialmente la variabilità del capitale sociale e il voto per testa demandando alla legislazione speciale, ispirata dall’attribuzione alla cooperativa di specifiche funzioni, una più articolata e specifica normativa.

Il legislatore italiano, sulla scia delle prassi e delle altre legislazioni europee, fin dai suoi esordi ha cioè dimostrato di essere perfettamente consapevole se non delle cause, certamente degli effetti che i necessari rapporti con il mercato determinano sull’identità e il ruolo della cooperativa. E non solamente sotto il profilo della tendenza dell’istituto a imitare il comportamento delle imprese commerciali, ma anche in merito all’effetto compressivo delle potenzialità economiche del’impresa determinato da un eventuale “difesa” normativa ad oltranza dei “princìpi”. Egli era cioè pienamente consapevole che i condizionamenti del mercato danno alla struttura cooperativa i caratteri di un irriducibile antagonismo dove le ragioni “capitalistiche” dell’impresa soffocano la portata ideale dei princìpi e viceversa. Siffatto antagonismo è poi esasperato dall’evoluzione del mercato e quindi dalla continua necessità di adeguarsi ad esso da parte dell’impresa capitalistica e dove, di conseguenza, il mantenimento dell’identità economica ed ideale dell’istituto può nascere solo da una mediazione, mai definitiva, fra queste due entità.

In questo senso la labilità delle norme del passato era funzionale a raccogliere sotto i vessilli cooperativi i ruoli più disparati senza dover procedere a continui “aggiustamenti” delle leggi. Questo andamento legislativo è in parte cambiato negli ultimi anni del novecento e di questi tempi con l’affermazione, con la riforma del 2003, di una legislazione più attenta e puntuale nel riconoscere le caratteristiche distintive dell’istituto e soprattutto nell’insieme dei vari sistemi legislativi europei più omogenea nel riconoscere i principi fondamentali e distintivi della cooperativa pur senza penalizzare le potenzialità economiche dell’impresa in una corretta logica mediatrice fra ragioni dell’impresa e dei principi.

Un revirement che non è dovuto a una improvvisa collettiva “illuminazione sulla strada di Damasco” in cosa consista l’identità cooperativa, ma che si spiega più probabilmente con l’”asciugarsi” di alcuni ruoli che l’istituto svolgeva approfittando dell’evanescenza delle norme. In particolare sta perdendo progressivamente spazio e credibilità quella cooperazione “spuria” creata essenzialmente per dividere utili piuttosto che elargire servizi mutualistici.

A contribuire a questo ridimensionamento gioca un ruolo decisivo da un lato il contrarsi generalizzato in Europa delle politiche di agevolazione fiscale dell’istituto, dall’altro la consapevolezza che in un mercato maturo i limiti previsti dalla legge all’investimento capitalistico e alla sua remunerazione rendono poco appetibile sotto un profilo “lucrativo” lo strumento cooperativo rispetto ad altri istituti societari . Ma va anche segnalato, da ultimo, il ruolo della Corte UE che ha escluso in buona sostanza nelle politiche di agevolazione fiscale la ricorrenza della fattispecie degli aiuti di stato di cui all’art. 107 TFUE solo ove siano presenti nella cooperativa i caratteri mutualistici identitari rappresentati dalla gestione di servizio al socio in un quadro democratico e di effettiva partecipazione alla vita sociale.

Tutte situazioni che tendono a mettere in seconda fila i teorici della cooperazione libera di speculare sul mercato e che quindi hanno favorito anche a livello legislativo la presa di coscienza di un’identità cooperativa rappresentata dalla gestione di servizio al socio in una struttura democratico e solidale il cui scopo è quello di remunerare il servizio al socio in termini di maggiori salari o minor costo dei beni in ragione dell’intensità degli scambi e non del capitale investito. Queste regole di fondo che rappresentano, in verità non solo da oggi, l’identità cooperativa, spalmandosi, come si è visto, in un numero considerevole di legislazioni europee, non hanno dato vita ad un modello europeo uniforme, ma costituiscono finalmente la comune architrave su cui fondare, nel rispetto della peculiarità nazionali, un modo di intendere la cooperazione in termini finalmente chiaramente distinti dalle altre società.

Statuiscono cioè finalmente che lo scopo principale della cooperativa, la sua mission, non è quello di remunerare il capitale investito dai suoi soci, ma il servizio ai soci stessi in funzione dei loro bisogni ossia, come è stato detto, la gestione di servizio dei soci per i soci. E’ quanto in termini generali si poteva desumere fin dal 1948 dal nostro testo costituzionale ed è soprattutto quanto risulta in termini più espliciti codificato nella riforma societaria del diritto societario e cooperativo attuata nel 2003. Finalmente, è il caso di dire.

Guido Bonfante


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