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01 - Inizia l’attività del blog sul sito della Fondazione.

Postato il 09 Giugno, 2014 da Mauro Giordani

logoInizia l’attività del blog sul sito della Fondazione. Sarà un luogo di raccolta di opinioni e di contributi ma abbiamo l’ambizione che diventi anche luogo di dibattito sui temi di interesse cooperativo che coloro che avranno tempo e voglia potranno riempire.

Si sente il bisogno di avere momenti di confronto non solo sul contingente e la Fondazione si propone, anche con questo blog, di contribuire a riempire un vuoto senz’altra ambizione se non quella di essere soggetto attivatore di un percorso.

Per partire abbiamo scelto la strada, rassicurante, del riferimento al contributo di personaggi che hanno avuto una importanza decisiva nel definire un pensiero cooperativo che riflettesse in modo chiaro la natura sociale ed economica delle cooperative e proponendo una lettura critica del presente a partire da tali contributi.

Siamo ripartiti da Alfred Marshall.


“……..Così, in ogni direzione c’è un sacco di lavoro per le teste e per i cuori dei cooperatori. Essi sono in una posizione di grande responsabilità, perché da loro dipende il futuro del progetto di riforma sociale più importante perché la sua base economica è la più solida, e di quell’attività imprenditoriale che è la più importante perché i suoi intenti sono i più nobili e i più elevati. Quei cooperatori che, prendendosi poco cura di se stessi, lavorano duro e con onestà per trasformare in risultati positivi le conoscenze che i lavoratori hanno gli uni degli altri, il loro potere di ampia fiducia reciproca, la loro empatia e dedizione; quelli che cercano di attuare con costanza il tentativo di dare un’educazione, un’opportunità e un incoraggiamento alla nobile ambizione di realizzare le potenziali capacità delle classi lavoratrici, che sono il più importante prodotto sprecato del mondo; questi possano

vivere
In palpiti mescolati alla generosità
In atti di audace rettitudine, in sdegno
Per i miserabili scopi che muoiono in sé […]
Accendano generosa passione, alimentino puro amore,
Siano la dolce presenza di un bene diffuso,
E sempre più intensamente in diffusione.
Così essi potranno unirsi al coro invisibile,
La cui musica è la gioia del mondo.”

Sono le parole con cui Alfred Marshall, il grande economista neoclassico, concluse il suo intervento al ventunesimo Congresso annuale della cooperazione inglese 1889, recuperando anche parte di una bella poesia di George Eliot. (l’intero intervento è stato appena tradotto per la prima volta in italiano e sarà la parte centrale di un volume sul pensiero di A. Marshall ela cooperazione in fase di redazione e di prossima pubblicazione a cura della Fondazione Barberini e dalla Fondazione Dalle Fabbriche)

Sono passati 120 anni ma credo siano parole che descrivono molto bene un fenomeno sociale, la cooperazione quale insieme di cooperatori, che non si esaurisce nella freddezza dei Codici, che riguardano essenzialmente la componente contrattuale delle imprese.

E’ in questa ambivalenza, persone e imprese, che si colloca la cooperazione e a seconda delle fasi storiche, dei contesti sociali e culturali in cui agisce si sposta più sul versante del movimento sociale o verso quello delle imprese proiettate verso traguardi che non sempre sono coerenti con i principi che sono propri del movimento cooperativo.

Come tutte le situazioni di ambivalenza, è certamente scomoda, instabile costantemente alla ricerca dell’equilibrio. In questa ricerca il rischio è che ci si sposti eccessivamente verso un movimentismo utopistico senza futuro, quando sottovaluta o non prevede la dimensione economica, ovvero, all’opposto verso l’omologazione con le imprese capitalistiche tout court.

Il pluridecennale dibattito sull’identità cooperativa, in tutto il mondo, è ascrivibile a questa ricerca. che rischia di essere un esercizio meramente intellettuale se non è ricerca di rapporti umani basati sull’ empatia e sulla fiducia reciproca, finalizzandoli alla realizzazione di crescita di un benessere misurabile tanto sul piano economico, che su quello sociale.

Queste considerazioni sono ormai scritte, recitate quasi a memoria da molto tempo. Perché abbiamo bisogno di riaffermarle continuamente?

Perché quell’equilibrio è instabile ed è l’azione quotidiana che lo ripristina o lo sposta.

Non c’è nulla da fare: come nella fisica l’equilibrio è il risultato di una serie di azioni e reazioni, così è nelle scienze sociali (economia, sociologia, storia…).

Negli ultimi trent’anni – esprimo ovviamente un mio parere, non riporto una affermazione storica – le azioni prevalenti hanno spostato l’equilibrio verso il rafforzamento della componente impresa.

Ciò e’ avvenuto in particolare nei paesi del primo mondo in cui c’è stato uno sviluppo quantitativo della cooperazione seppure più ridotto rispetto agli altri paesi.

In questo sviluppo la componente relazionale tra le persone non è stata l’elemento centrale.

Va detto che la cooperazione, nei paesi sviluppati soprattutto, ha dovuto confrontarsi con l’affermarsi di modelli sociali e culturali lontani da quelli descritti dai valori dell’ICA e la concreta applicazione dei 7 principi – le linee guida messe a punto e riviste dall’ICA stessa – si è resa sempre più difficile.

La difficoltà applicativa è stata una delle ragioni per cercare anche scorciatoie che evitassero il rischio di “perdere le imprese”. Spesso la ricerca di strade parallele è avvenuta in buona fede ma a volte dietro tale rischio si è nascosto l’alibi della trasformazione.

Troppo complicata è apparsa l’applicazione dei principi di partecipazione consapevole, base per una autogestione efficace; troppo lento è sembrato il processo decisionale.

Questioni vere ma la loro non applicazione ha portato benefici stabili? Ha evitato che le cooperative fallissero? No; i benefici sono stati temporanei e diverse imprese cooperative, grandi e piccole ed in tutto il mondo, non ci sono più o rischiano fortissimi ridimensionamenti.

Sono stati i danni dell’uomo solo o di ristretti gruppi al comando con una folla di soci inconsapevoli a fare da sfondo.

Tra l’altro queste dinamiche sono andate di pari passo con quelle del capitalismo finanziario che tante macerie ha prodotto.

Ma così come i capitalisti più intelligenti si stanno interrogando sugli elementi su cui ritrovare dinamiche sostenibili che consentano la sopravvivenza di quel modello, così le cooperative devono riflettere bene sul futuro spostando l’equilibrio verso il recupero di dimensioni relazionali entro e tra le cooperative e le società di cui affermano di essere espressione.

Il futuro della cooperazione si gioca sulla capacità di recuperare queste dimensioni senza buttare al macero le acquisizioni economiche che vi sono state anzi proponendosi come il modello più capace di coniugare socialità e sviluppo come elementi chiave di nuova economia.

E’ una sfida affascinante, una ricerca non di medaglie ma di modelli di sviluppo sostenibili per i miliardi di persone che abitano ed operano sulla Terra.

In grande sintesi riteniamo che per questa nuova fase sia decisivo, prioritario recuperare la propensione all’assunzione di responsabilità individuali nella gestione di processi complessi come sono le azioni collettive, anche attraverso intensi processi educativi e formativi,

La gestione di una cooperativa è, innanzi tutto, questo.

Ricerche recenti che abbiamo svolto come Fondazione Barberini - Messori e Alessandrini nei.Quaderni della Fondazione; Zanotti nella comparazione della governance delle cooperative e delle imprese di capitali - riconfermano queste opzioni.

Intuizioni che lo stesso Marshall aveva già avuto ed espresso: una partecipazione consapevole fa diminuire i costi di monitoraggio e rende più efficiente il processo produttivo. Chi meglio delle cooperativa ha questa possibilità?

E’l’indicazione di un percorso molto complicato che tocca abitudini, status, sistemi di relazione, e comporta, in molti casi, il cambiamento di stili di funzionamento delle cooperative e nelle relazioni tra cooperative e con i sistemi sociali in cui operano.

In questa prospettiva la visione nazionale non basta più. Del resto non è stata la visione dei padri fondatori che, in modo lungimirante, giravano il vecchio continente per conoscere e far conoscere le buone pratiche oltre che le basi teoriche di riferimento.

Anche su questo aspetto il pendolo della storia può tornare a muoversi. Ma in che modo? Un miliardo di soci di cooperative in tutto il mondo è solo un numero, evocativo di una forza straordinaria, ovvero è un insieme di soggetti che singolarmente e collettivamente si assumono consapevolmente le responsabilità previste dai valori e dai principi dell’ICA?

A queste domande occorre dare risposte convinte, non basta più recitare il rosario: i grani sono finiti.

Le scelte, complicate e faticose, comportano che ci si dichiari e ci si impegni: tutte le generazioni presenti nel mondo cooperativo, senza dubbio, ma avendo ben presente che i rischi li corrono le generazioni di cooperatori più giovani che, pertanto, devono avere spazio per gestirselo il loro futuro. Ai cooperatori di più lunga esperienza la straordinaria possibilità di costruire i futuro offrendola, non imponendo tale esperienza.

Mauro Giordani


La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata la fonte: www.fondazionebarberini.it

4 Commenti
  1. Tito Menzani on 24/06/14

    Buongiorno a tutti, mi permetto di dare un piccolo contributo alla discussione che sta maturando in questa sede con una considerazione personale sull’equilibrio tra sfera imprenditoriale e sfera sociale. Ho sempre ritenuto che l’ago della bilancia, o meglio il concetto in grado di tenere insieme questi due aspetti, fosse la mutualità. Nel dibattito intellettuale, la mutualità è sempre stata considerata una via intermedia tra il self-help e la solidarietà, ossia tra individualismo e altruismo. In tal senso è il concetto fondante della cooperativa, intesa come un’impresa di proprietà dei soci che opera nell’interesse collettivo degli stessi. Questi si sono riuniti in cooperativa per raggiungere uno scopo al quale singolarmente non avrebbero potuto ambire, e l’interesse da loro perseguito non è esclusivamente di natura economica, e molto spesso questo genere di dimensione appare complementare rispetto a motivazioni extra-economiche. Questo tipo di patto sociale si protrae nel tempo se lo scambio mutualistico – ossia la reciprocità tra soci e impresa cooperativa – continua ad essere vantaggioso. Nelle cooperative di consumo, ad esempio, i soci trovano generi alimentari e altri prodotti a un rapporto qualità/prezzo conveniente. In quelle di produzione e lavoro, ottengono la garanzia di un impiego che li mette al riparo dal rischio della disoccupazione. In quelle agroalimentari, ricevono sostegno tecnico-organizzativo e vantaggio economico negli acquisti e nelle vendite collettive. Gli esempi potrebbero proseguire. A tutte queste considerazioni, si deve aggiungere che le cooperative danno un ulteriore beneficio ai soci, perché a bilancio chiuso ed approvato – se la gestione complessiva è stata efficiente e positiva – viene distribuito il ristorno, ossia la parziale ripartizione degli utili realizzati dalla cooperativa. Quindi, la mutualità è un concetto che rimanda ad un vantaggio collettivo sia economico che non economico, che giustifica l’esistenza stessa della cooperativa, intesa come un genere d’impresa con finalità diverse rispetto al mero profitto. Anzi, in questo senso l’utile di gestione appare del tutto minoritario rispetto ad altri aspetti. Ciò è particolarmente evidente nelle cooperative di consumo, i cui soci non sono interessati al ristorno a chiusura del bilancio, bensì ad avere la possibilità di acquistare merci con un conveniente rapporto qualità prezzo durante l’anno. Possiamo forse dire che il buon andamento complessivo dell’impresa sul mercato è garanzia di continuità e sintomo di efficienza organizzativa, e dunque è un fatto cruciale, benché non l’unico nel nostro panorama cooperativistico. Inoltre, la mutualità ha una ricaduta positiva – benché sussidiaria – sulla collettività in generale, perché l’esistenza della cooperativa produce, direttamente o indirettamente, una qualche esternalità positiva. Quest’ultima, in genere, è considerata minoritaria rispetto alla mutualità in senso stretto, ma comunque non trascurabile. Le cooperative di consumo offrono un conveniente rapporto qualità/prezzo anche ai non soci, quelle di produzione e lavoro hanno un ruolo emancipatorio e perequativo rispetto al valore aggiunto prodotto, quelle agroalimentari incidono favorevolmente sulla valorizzazione e sulla tutela dei territori e dei prodotti locali. Sono solo alcuni esempi, ma credo siano chiarificatori rispetto a ciò di cui si sta parlando. Resta da fare un gigantesco sforzo educativo-comunicativo. Quanti sono i soci di cooperative pienamente consapevoli di queste dinamiche? Quanti di loro comprendono appieno la natura cooperativistica? Quanti, infine, credono che si tratti di un modello con un valore aggiunto, in cui credere e in cui investire?

  2. Marco Bulgarelli on 24/06/14

    Complimenti! Il bell'articolo di Giordani ci aiuta a tenere su la testa, osservando i megatrend di lungo periodo. In questa prospettiva anche riferimenti secolari, come Alfred Marshall, aiutano a capire cosa siamo stati, cosa siamo e cosa possiamo essere e quindi il pensiero strategico aiuta a sopportare le miserie di questi tempi. Nell'eterno pendolo tra l'essenza valoriale della cooperativa e l'equilibrio economico finanziario dell'impresa, oggi è quest'ultima a soffrire le pessime condizioni del mercato, compromettendo spesso anche le buone pratiche dei nostri principi. Il movimento cooperativo è complesso e articolato. Il corretto equilibrio cooperativo tra " l'utopistico movimentismo senza futuro e l'omologazione capitalistica dell'impresa senza aggettivi", come dice Giordani, è da ricercare permanentemente nell'azione quotidiana. E' un equilibrio da conquistare con la prassi quotidiana di imprenditori di valore che riescono ad affermare la cooperativa nel mercato, praticandone i valori più profondi...... poi il mercato è quello che è, non è quello che vorremmo. La drammatica crisi che stanno vivendo le cooperative operanti nei vari segmenti del mercato domestico non aiuta i cooperatori ad essere virtuosi. Con i nostri valori possono essere attivate leve che aiutano a resistere nei momenti difficili, ma alla fine le cooperative sono imprese e possono fallire. L'intelligenza dei cooperatori deve essere orientata alla ricerca delle migliori condizioni di mercato per alimentare l'idealità cooperativa, insieme ai patrimoni intergenerazionali che sono il perno della nostra forza imprenditoriale. Mi riservo di fare valutazioni più approfondite sui modelli di governance. Da questo articolo traggo l'auspicio che i mercati ad alta intensità cooperativa si riaprano. Auspico una forte ripresa della domanda per dimostrare che i cooperatori esprimono una forma d'impresa evoluta all'altezza delle sfide del mercato globale. Dalle mortificanti battaglie sui prezzi che tutte le imprese combattono nei mercati in declino non caveremo niente di buono. In questi contesti il potenziale vantaggio competitivo insito nei valori cooperativi finisce per essere svilito. I governi facciano crescere l'economia, noi faremo la nostra parte e tutti insieme ci troveremo in una società più giusta.

  3. Massimiliano Panarari on 12/06/14

    Ripartire da Marshall. E ripartire dallo spirito, e dai fondamentali della cooperazione, e dall'intergenerazionalità che la contraddistingue. Un ottimo viatico, e un ottimo articolo.

  4. Letizia Lomma on 10/06/14

    Ho trovato l'articolo molto interessante. Grazie

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