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22 - Il contributo della cooperazione italiana al riscatto dell’Italia

Postato il 12 Novembre, 2014 da Vera Negri Zamagni

logo Il drammatico stato dell’economia italiana è sotto gli occhi di tutti e non sarà né facile né rapido rimediarlo. Due decenni di studi sulla storia del movimento cooperativo italiano mi danno la possibilità di offrire qualche riflessione sul ruolo che la cooperazione può svolgere per aiutare a risollevare l’economia italiana, un ruolo originale e unico, che si rivolge al più grave problema dell’economia italiana: la polverizzazione delle imprese e la carenza di grandi complessi.

Domandiamoci: perché la struttura produttiva italiana è così frammentata? La vera ragione sta nella cultura del popolo italiano, che aborre il lavoro dipendente e la gerarchia tipica delle grandi imprese. Questo atteggiamento fondamentalmente “anarchico” si può superare solo costruendo un’impresa dove “le persone contano”, dove la proprietà è comune, dove la persona ha “voce in capitolo”, un’impresa dunque che o è una cooperativa o ha modalità di funzionamento non distanti da quelli cooperativi.

Se si comprende questo argomento, si capisce come l’impresa cooperativa sia in grado di:

1) Crescere di dimensione, perché una cooperativa grande non contraddice l’assunto di fondo che non si lavora per un padrone: “la coop sei tu”; “persone oltre le cose” (due slogan molto azzeccati). Sono sempre stata molto favorevole all’ingrandimento delle cooperative, naturalmente nei settori dove la dimensione è cruciale, proprio perché ritengo questo uno dei pochi modi per avere grandi imprese in Italia.

2) Costruire reti, attraverso consorzi, ma anche attraverso legami a valle e a monte con altre aziende del territorio, spesso di minori dimensioni, con le quali si creano alleanze di lungo periodo. Questo ruolo di “cuore” organizzativo di una rete di piccole imprese, non necessariamente cooperative, è di fondamentale importanza per la sopravvivenza di piccole imprese che da sole non reggerebbero. Anche le medie imprese private di “quarto capitalismo” svolgono un ruolo analogo.

3) “Umanizzare” le società per azioni, attraverso l’ibridismo permesso dal controllo di spa da parte di imprese cooperative. Naturalmente, questo avviene quando alle spa a controllo cooperativo si assegnano modalità di funzionamento che sono coerenti con i valori della cooperativa e dunque quando queste spa funzionano con responsabilità sociale e civile, non certo se avviene il viceversa, ossia se le cooperative controllanti si lasciano contaminare da comportamenti di rapacità capitalistica tipici delle spa irresponsabili.

Se dunque il movimento cooperativo ha la fondamentale missione da svolgere di rendere più solida e competitiva la struttura dell’economia italiana, si deve però attrezzare meglio di quanto fin qui abbia fatto. Quali i cambiamenti che ritengo necessari? I seguenti:

I) Non è scimmiottando l’economia capitalistica che la cooperazione può riuscire nell’intento sopra delineato. Proprio affermando e praticando la sua diversità potrà offrire un’alternativa alle derive del capitalismo attuale, che sono le diseguaglianze crescenti, lo sfruttamento delle persone a scopi di massimizzazione dei profitti per gli azionisti, la desertificazione dei territori, l’anomia delle periferie, la finanziarizzazione rampante dell’economia. Ciò non significa che le imprese cooperative non debbano essere efficienti, ma l’efficienza deve essere misurata sui fini e non può essere un fine in sè.

II) L’importanza fondamentale di questa missione deve essere elaborata sia nelle sue fondamenta sia nelle sue implicazioni in maniera approfondita. Il movimento cooperativo deve smettere di essere afasico sul piano culturale. Ha delle proposte da fare ai giovani che si affacciano al mondo del lavoro come alle autorità locali, alle fondazioni, alle altre imprese profit e non profit con cui può costruire alleanze. Si tratta di proposte che vanno nella direzione del bene comune, di rapporti di lavoro più umani e appaganti, di attività economiche basate sulla legalità e sul beneficio di tutti i partecipanti. Il movimento cooperativo si attrezzi dunque ad elaborare e presentare queste proposte in modi culturalmente articolati, accattivanti e appassionati.

III) Non si può semplicemente gestire al meglio l’eredità del passato. Ogni stagione offre delle nuove opportunità di attività economica che vanno colte. Non si può aspettare solo che queste opportunità emergano dal basso, vanno promosse.

IV) Occorre continuare a riflettere sulla fonte di capitale delle imprese cooperative. Non credo che le soluzioni finora individuate siano le uniche possibili; ci sono spazi per ulteriori innovazioni.

V) Una riflessione approfondita va fatta sulle alleanze internazionali del movimento cooperativo, perché oggi la dimensione nazionale non basta più. Per far questo, occorre spendere delle risorse soprattutto di giovani, che girino il mondo, costruiscano ponti, organizzino reti internazionali.

Ho più volte argomentato nei miei scritti che i migliori economisti dell’Ottocento vedevano nella cooperazione non un’impresa interstiziale, buona per tappare i buchi lasciati liberi dall’impresa capitalistica, ma un’impresa dal profilo giuridico “superiore”, perché più equo e sostenibile nel tempo. La seconda rivoluzione industriale con il fordismo ha messo all’angolo le argomentazioni degli economisti ottocenteschi, perché gli enormi impianti fordisti erano da un lato troppo capital intensive e dall’altro producevano beni troppo standardizzati per la forma cooperativa di impresa. Ora che il fordismo è declinato, occorrerebbe riscuotere sia i cooperatori dalla loro rassegnazione alla marginalità sia la gente comune dalla loro rassegnazione al fatto che il lavoro sia solo quello dipendente.

Una nuova stagione si profila per il cooperativismo oggi, se si ha il coraggio di crederci, come hanno fatto i fondatori del movimento cooperativo.

Vera Negri Zamagni


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1 Commenti
  1. Antonio Zanotti on 13/11/14

    L'intervento di Vera Zamagni è molto stimolante. Mi soffermero però solo su alcuni aspetti.
    a) In Italia non c'è politico che non declami i vantaggi delle PMI (che in realtà sono delle nano imprese!) conforndendo politiche di promozione di nuove imprese con politiche di mantenimento di nano imprese, che servono a ben poco nella competizione mondiale. Purtroppo non ci sono solo i politici: vedi l'ultimo (strano) libro di G. Sapelli
    b) In alcuni paesi (ma specialmente in UK) si stanno sperimentando interessanti forme di finanziamento di comunità come i Social Bonds e le Community Shares: perchè non proviamo a vedere come funzionano?
    c) Credo anch'io che la cooperazione abbia qualcosa da dire su come uscire dalla crisi. Ridimensionato (per non dire sterilizzato) l'opzione della proprietà pubblica, il dibattito ruota attorno a due paradigmi, quello neo-liberista e quello keynesiano, di cui la storia ha già ampiamente dimostrato i limiti (anche se si preferisce fare finta di niente). Ora è il momento di sostenere forme di proprietà imprenditoriali alternative e la cooperazione devrebbe dirlo con convinzione. Allora perchè nel Jobs Act non si cerca di fare approvare la costituzione di un fondo per il recupero delle imprese in crisi con l'avvio di nuove cooperative? Insomma una nuova Marcora (e non mi si dica che sarebbero aiuti di stato!).
    d) Quanto al ritorno del pensiero economico dell'800 la Fondazione, assieme ad altre istiuzionidi area cooperativa, ha sostenuto la pubblicazione di una antoloiga degli scritti di Alfred Marshall sulla cooperazione che sarà presto in libreria (il Mulino).

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