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19 - L'epoca dell'ibridazione cooperativa: come garantire la centralità dei soci?

Postato il 11 Novembre, 2014 da Patrizia Battilani

logoQuale cooperazione possiamo prefigurarci per i prossimi decenni?  Quali saranno gli effetti di lungo periodo delle trasformazioni intervenute a cavallo fra Novecento e Duemila?
I cambiamenti sono stati tanto profondi sia nella struttura organizzativa sia nei modelli di governance, che si è iniziato a usare il termine di "epoca dell'ibridazione cooperativa". Negli ultimi decenni, la sfida principale alla quale i vari movimenti hanno cercato risposta è stata la ricerca di risorse per la crescita dimensionale, in un contesto in cui l'integrazione dei mercati e la "finanziarizzazione" dell'economia avevano reso particolarmente aggressive le imprese convenzionali. 

Le imprese cooperative, soprattutto quelle che operavano nei settori tradizionali, (commercio, finanza, agricoltura) hanno trovato percorsi di crescita originali, spesso diversi da un paese all'altro, sia per garantirsi le risorse finanziarie necessarie sia per operare sui mercati internazionali.
Questo processo ha fatto emergere grandi gruppi cooperativi dall'architettura diversificata e in genere complessa. Possiamo prendere l'esempio di Arla Foods (la cooperativa danese e svedese nata da una fusione che ha oltrepassato i confini nazionali) Friesland Coberco Dairy Foods e Campina (Olanda), Glambia (Irlanda) e Valio Group (Finlandia) nel settore agricolo; di Mondragon (Spagna) e Sacmi (Italia) in quello manifatturiero.  In generale le cooperative europee per finanziare la crescita e, ancor di più, per avviare attività oltre confine hanno preferito creare imprese convenzionali di cui poi hanno mantenuto il controllo. Così Mondragon oggi possiede società per azioni in tutti i continenti, Conserve Italia società di produzione e commercializzazione in vari paesi del vecchio continente.

L'Europa, quindi, storicamente dominata dalla forma del gruppo di impresa, ha finito con l'accogliere anche i gruppi di impresa cooperativi. In altre parole per superare i problemi di fiducia che un modello incentrato sul capitale variabile poneva alle banche, le cooperative hanno proceduto creando e controllando imprese a capitale fisso, come appunto sono le società per azioni.
Negli Stati uniti, invece, dove la forma a gruppo non è compatibile con la normativa, la ricerca di nuove architetture che facilitassero il finanziamento degli investimenti ha portato alla creazione delle cosiddette cooperative di nuova generazione, nella quali alcuni dei vincoli delle cooperative tradizionali sono stati allentati. Diffusesi soprattutto nel settore agricolo, le nuove cooperative mantengono il principio di una testa un voto, ma introducono la porta chiusa e i diritti di conferimento fissi. In questo modo i diritti di conferimento possono venire scambiati sul mercato e di conseguenza anche apprezzarsi o deprezzarsi.

Ovviamente per rendere tale mercato funzionante i contratti di conferimento sono vincolanti sia per le cooperative che per i soci.  In un certo senso si è seguito il suggerimento proposto dall'economista Dow nel 2003 (Governing the Firm: Workers' Control in Theory and Practice. Cambridge: Cambridge University Press) che consigliava di creare un mercato per le quote sociali appunto per superare le difficoltà nel reperire finanziamenti da parte delle cooperative.
Interessante è anche l'ibridazione che in questi anni sta portando avanti la Cina. Come è noto le cooperative cinesi a partire dagli anni cinquanta avevano assunto l'aspetto di grandi comuni di villaggio la cui adesione era obbligatoria (e quindi non rispettavano il primo dei principi cooperativi, quello che richiama la libertà di scelta di socio). Dopo la svolta avviata da Deng Xiaoping nel 1978 anche le grandi cooperative di villaggio erano state progressivamente smantellate attraverso un processo di privatizzazione. 

Oggi però, nell'ambito dei progetti di modernizzazione dell'agricoltura, le cooperative stanno ritornando attuali, sia nelle forme tradizionali sia con soluzioni e architetture completamente innovative. Una di queste soluzioni è la cosiddetta cooperativa-company-famiglia contadina. Si tratta di cooperative create da un insieme di agricoltori (e le loro famiglie) e da una società per azioni. I contadini apportano alla cooperativa la terra e il lavoro nei campi, la company  gli impianti di trasformazione e le competenze commerciali. I contadini possono anche lavorare all'interno delle fabbriche e in questo caso la loro remunerazione risulta da una combinazione di prezzi di conferimento e di salari.
In altri paesi come il Kazakistan si sta  in questi mesi predisponendo una nuova normativa per le cooperative che contribuisca alla modernizzazione del settore agricolo, proprio a partire dalle esperienze dei paesi europei e che quindi potrebbe già includere forme di ibridazione.

L'esito complessivo di tutte queste trasformazioni è stata la nascita di forme di impresa cooperativa con molti soci e anche complesse da governare. La vera sfida si è così spostata dal desiderio di dimostrare che l'impresa cooperativa poteva diventare grande alla necessità di creare le condizioni perchè anche in presenza di ampie e complesse architetture i soci fossero comunque in grado di comprendere il reale funzionamento del gruppo, di valutarne le strategie e di esercitare la funzione decisionale.
Si tratta di una sfida difficile, forse ancor di più di quella che ha consentito di creare grandi gruppi cooperativi capaci di operare in tutto il mondo.  A tal fine, tre sembrano gli elementi sui quali vale la pena aprire una riflessione: 1) la creazione di percorsi di formazione per i soci, in modo da dare loro gli strumenti per leggere realtà aziendali complesse 2) la creazione di organi o di occasioni istituzionali di incontro fra i soci e i manager che consentano il fluire delle informazioni all'interno delle cooperative e mettano i soci nella condizione di conoscere effettivamente sia le strategie aziendali sia i risultati economici e sociali  da esse prodotti 3) l'individuazione di uno strumento di rappresentanza delle nuove generazioni di soci, in un contesto in cui una parte importante del capitale dei grandi gruppi cooperativi è costituito da riserve indivisibili, che in quanto tali sono proprio destinate alle future generazioni.

Negli ultimi decenni del Novecento, le imprese cooperative, per dimostrare che  potevano essere degli attori del mercato nazionale e globale, hanno aperto le porte a manager con alta scolarizzazione e vaste esperienze professionali, nel prossimo decennio per dimostrare che mantengono un'identità cooperativa, dovranno portare l'attenzione sulla formazione dei soci.  infatti, la centralità del socio in una realtà che si è fatta via via più complessa dovrà essere supportata da un' opportuna acquisizione di competenze.
Che sia questo il futuro della cooperazione?  In un mondo in cui il ritmo delle innovazioni rende rapidamente obsolete le conoscenze accumulate, la cooperazione riuscirà a rappresentare un percorso di mobilità sociale incentrato non solo, come in passato, su remunerazioni e uno standard di vita decoroso, ma anche sull'accrescimento del capitale umano dei soci?


Patrizia Battilani


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