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18 - Le sfide del movimento cooperativo italiano

Postato il 7 Novembre, 2014 da Mario Mazzoleni

logo Lo scritto predisposto per l’assemblea mondiale dell’ICA 1 del 2001, oltre a indicare i motivi che portavano, allora, ad ipotizzare un’implosione del sistema economico sorretto dalle logiche del “turbo capitalismo”, indicava nel sistema partecipativo e nelle esperienze del movimento cooperativo internazionali le strade maestre per evitare la caduta e per immaginare percorsi attraverso i quali affrontarne le conseguenze.

La sfida era aperta ed aveva una forte connotazione di natura ideologica caratterizzando la leva partecipativa come pilastro di sostegno per un modello economico orientato in modo completamente diverso da quello allora di moda.

Dopo più di due lustri gli effetti di quella folle corsa alla crescita senza regole, sostenuta anche da un’esplosione (anche questa del tutto incontrollata) di modelli economici orientati alla centralità della finanza, divenuta non più ancillare – funzione – allo svolgimento dell’attività economica, ma motore e cuore operativo della stessa, sono drammaticamente visibili (sebbene con effetti diversi) in quasi tutte le economie del pianeta.

L’affannosa ricerca di cure per la crisi imperante da più di sei anni e gli scarsi effetti che le medicine proposte continuano ad avere, rimettono fortemente in discussione alcuni paradigmi sui quali si è sostenuto il modello così fragorosamente crollato.

In questa fase di riflessione rimane costante la capacità delle imprese (e delle economie) orientate nel loro operare da valori e, conseguenti, modalità gestionali diverse, di mantenere la propria capacità di durare, di sostenere il proprio orientamento al fare, di “reggere” adeguatamente di fronte al marasma che la crisi ha generato. Senza entrare nel merito dei principi e dei valori che, ancora oggi, sostengono queste imprese, va sottolineato che i modelli di riferimento comuni, si traducono in forme istituzionali anche diverse.

Questi modelli sono (in sintesi):

  • Operare avendo chiara la centralità delle persone nelle loro diverse forme di “contatto” con le imprese e orientarsi al “contemperamento degli interessi” di coloro che alle imprese chiedono di soddisfare fini e bisogni diversi 2;
  • Avere una chiara strategia orientata al perdurare nel tempo e identificare nell’approccio economico lo strumento attraverso il quale sostenere questa linea strategica (il profitto come strumento e non come fine della vita aziendale);
  • Separare il concetto di crescita da quello di sviluppo e coniugare questo attraverso una grande attenzione a generare valore nel rispetto di orientamenti sostenibili;
  • Coinvolgere in diverso modo e utilizzando strumenti diversi, le varie categorie di portatori di interessi verso l’impresa (e, nel concreto dell’attività produttiva o erogativa, operare seguendo un modello partecipativo).

Come detto, valori simili trovano riscontro e spazio di azione sia in sistemi istituzionali diversi, sia in ambiti territoriali ben definiti anche se vi sono naturali predisposizioni culturali/filosofiche nonchè “ideologiche” che, nel tempo, hanno finito con il generare maggiori esperienze connaturate secondo particolari modelli istituzionali, piuttosto che in determinati ambiti sociali e territoriali.

In sostanza, se è pur vero per che la cooperazione si è sviluppata in coerenza con questi valori/principi, proprio perché ne rappresentano il DNA, è anche importante sottolineare come numerose sono imprese di tipo “profit” che operano e si sviluppano con costanza seguendo questi indirizzi.

Allo stesso modo è utile sottolineare come, contesti geografici (per storia, cultura etc) abbiano facilitato l’implementazione di questi indirizzi (dal Giappone partecipativo, alle esperienze di “regione” cooperativa della provincia basca, alle esperienze di impresa collettiva di alcune zone dell’asia).

Il movimento cooperativo, proprio per questo collegamento di tipo genetico tra valori, principi e forma istituzionale, ha accumulato in un periodo storico che vede oggi questo modo di “fare impresa” concretamente operativo avendo attraversato gli ultimi due secoli di storia umana, porta con se’ sia un grande esperienza, sia una tradizione consolidata di capacità di adattamento ai contesti in cui opera, sia, infine, una forte consapevolezza dei vantaggi che la propria diversità offre (e naturalmente delle attenzioni che questa richiede).

La crisi dirompente (che, finalmente, appare come una crisi “non ciclica” ma di sistema) comporta per il sistema cooperativo due esigenze.

La prima, che accomuna la cooperazione alle altre forme di impresa, è la sfida dell’innovazione che si contrappone a quella del conservatorismo più o meno inerziale (si è sempre fatto così). Sfida che appare chiara nel momento in cui si acquisisce la consapevolezza che il futuro non avrà più le “forme” del passato e che, conseguentemente, solo una forte capacità di “messa in discussione” del passato potrà portare a sviluppare nuovi paradigmi 3.

La seconda esigenza, di cui il movimento cooperativo internazionale, ma anche italiano, pare essere meno consapevole, è quella di rappresentare un punto di riferimento per il futuro economico sociale sul “come” fare impresa. La volontà di rappresentare un modello da diffondere oltre ad essere un elemento di rilevante “responsabilità” economica e sociale, è anche uno degli indirizzi guida ai quali il sistema cooperativo deve attenersi secondo quelli che comunemente sono chiamati i “principi cooperativi”.

Le due sfide passano dalla capacità/volontà di affrontare alcuni limiti che il sistema cooperativo da anni mostra e che, sovrapponendosi tra di loro, possono rischiare di limitare il ruolo di agente di cambiamento della cooperazione e di causare gravi conseguenze anche alla capacità di sopravvivenza delle imprese che vi appartengono.

In sintesi oggi (naturalmente evitando di generalizzare e nella consapevolezza che molte realtà cooperative continuano ad agire in modo diverso) i principali limiti che si possono evidenziare nel mondo cooperativo (in particolare italiano) sono i seguenti:

  • Approccio conservativo di fronte alla crisi che porta ad assecondare modalità di azione caratterizzate dall’inerzia organizzativa (il si è sempre fatto così). Mettersi in gioco ipotizzando nuovi paradigmi appare difficile in molte realtà anche per una certa dose di resistenza al cambiamento dei vertici aziendali. Ciò nasce sia dal fatto che per troppi anni il movimento cooperativo ha ridotto (quando non annullato) seri investimenti in formazione manageriale per i propri dirigenti e quadri (venendo, in questo modo a rinunciare a perseguire un altro importante principio guida della cooperazione), sia da un certo blocco nel ricambio generazionale che si registra ai vertici delle piramidi aziendali in molte cooperative, sia, infine, ad una difficoltà nel trovare modelli di collaborazione, confronto nei mercati, anche tradizionalmente di riferimento, legata agli effetti negativi generati da una certa propensione di molte cooperative ad operare “adeguandosi” ai comportamenti in voga;
  • Annacquamento del legame ai propri principi ispiratori che, nel tempo, sono apparsi divenire più “parole d’ordine” che indirizzi a cui uniformare con coerenza la gestione delle imprese cooperative. Oltre alla riduzione degli investimenti in formazione e alla volontà di “rappresentare” un modello diffondendone le caratteristiche e le modalità di funzionamento, per troppo tempo i riferimenti alle logiche partecipative non hanno trovato opportunità di evolversi per mantenere il proprio significato e la propria spinta imprenditoriale in contesti economici e sociali in mutamento 4 ;
  • Difficoltà a difendere le proprie caratteristiche peculiari di fronte agli attacchi che il movimento cooperativo ha subito che, oltre a ridurre la valenza strategica di questi elementi, hanno finito con l’indebolire le stesse aziende cooperative. Un esempio su tutti è quello legato alla “battaglia” su fisco e cooperazione che, uscendo dalle logiche costituzionali, ha finito con il ridurre la capacità di orientare al consolidamento di lungo periodo il valore generato dalla gestione e ha, di fatto, ridotto le potenzialità del patrimonio indisponibile sul quale, costituzionalmente appunto, si basava un elemento di forza del modello.

Malgrado questi limiti, il movimento cooperativo continua, non solo a rappresentare un modello di riferimento per il rilancio del sistema economico e sociale (e molte imprese cooperative operanti nel nostro Paese ne sono la tangibile prova, come ugualmente lo comprovano i dati che mostrano comunque una resistenza del sistema cooperativo all’aggressione della crisi), ma anche un laboratorio fondamentale per sperimentare le potenzialità di strategie e logiche gestionali innovative.

Il ritorno alla valorizzazione del DNA cooperativo associato alla ricerca di forme di indirizzo e di governo coerenti con questo elemento genetico sono, sicuramente, occasioni importanti non solo per dare alle cooperative nuove opportunità di consolidamento, ma anche per generare per “ricaduta quasi osmotica” nelle altre forme di impresa altrettante occasioni di consolidamento e di crescita. Si tratta di accettare le sfide senza timore e senza resistenze e di ritornare a credere in uno slogan che tanto rappresenta il modo di essere cooperativo: “ Si può fare”.


Mario Mazzoleni

1- M.Mazzoleni “Co-operatives in the Digital Era” in M.Mazzoleni “Riflessioni di impresa: alla ricerca di nuovi paradigmi” Giappichelli ed. Torino 2013
2- Anche in questo caso si fa riferimento ad una teoria che ha avuto importanti sostenitori nel nostro Paese, da Onida a Masini e che è stata poi elevata agli “altari” una volta sviluppatasi oltreoceano. P. Onida “Economia d’azienda” Utet, Torino ultima ed 2000. C. Masini “Lavoro e risparmio” Utet, Torino 1979. R. Freeman “Strategic Management: a Stakeholder approach” Pitman, Boston 1984
3- M.Mazzoleni “Impresa-Innovazione-Cultura sociale” in “Riflessioni d’impresa” op. cit
4- Tra gli esempi che possono essere utili a comprendere questo aspetto possiamo citare la “difficoltà” nel trovare nuove forme di partecipazione in presenza di una larga base sociale, le poche esperienze di alleanze di filiera realizzate senza che le stesse fossero imposte da “crisi” o situazioni complesse, qualche eccessivo ammiccamento a visioni di tipo finanziario nel valorizzare progetti nuovi o nel sostenerne alcuni in difficoltà.


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