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17 - Cooperazione, promozione e valore del lavoro

Postato il 26 Ottobre, 2014 da Roberto Genco

logo Nel 1170 a Parigi, si stava costruendo la chiesa di Notre Dame... Non sto plagiando l'appassionato e bell'intervento di Luciano Sita, ma vorrei partire anch'io da quell'opera, che ha una caratteristica comune con tante altre analoghe imprese (non solo la costruzione delle cattedrali): quella di essere durata per secoli. Chi faceva il primo progetto, o tirava su il primo muro, sapeva cioè che non sarebbe riuscito a vedere la costruzione completata (su questo ritornerò tra poco).

Ma torniamo a Notre Dame: ci narra Le Goff che la corporazione delle prostitute parigine propose al Capitolo di Notre Dame di finanziare una vetrata dedicata alla Vergine per la nuova chiesa. La proposta imbarazzò il clero, diviso su opposte considerazioni circa la professione delle offerenti. Il parere richiesto in proposito ad un teologo ebbe modo di osservare che il dono era lecito, e si doveva accettare, solo se tali erano anche i proventi guadagnati che diventavano voto alla Madonna. La condizione di tale legittimità dell’offerta veniva individuato nel discrimine tra prostituzione esercitata attraverso raggiri estetici (quindi generatrice di proventi ottenuti attraverso l’inganno …!) e quella, invece, svolta attraverso l’onesto lavoro. Al di là delle facili ironie, è su questa affermazione della centralità del lavoro (anche quello delle prostitute!) che Le Goff individua uno dei criteri legittimanti della cultura europea.

Eccoci quindi al tema della cooperazione, e alla centralità del lavoro che credo ben possa individuarne un valore legittimante: espresso in via diretta nella mutualità di lavoro e in quella di produzione tra imprenditori associati, esso rappresenta anche un naturale punto di riferimento nella mission di quella tra consumatori e tra abitanti (come forma di tutela del reddito dei soci lavoratori). E segna anche il momento di nascita della moderna cooperazione imprenditoriale che, nella metà dell’ottocento di una Europa in piena rivoluzione industriale, ha rappresentato una delle più originali forme di ricostruzione dei vincoli di solidarietà in un contesto sociale che non aveva più i caratteri della economia agricola e di quella artigiana cittadina.

Sulla scorta di questa suggestione della centralità del lavoro nell’esperienza mutualistica mi sembra che si possano leggere non pochi dei caratteri che sono andati connotando l’impresa cooperativa nella sua esperienza storica: non solo il servizio mutualistico, ma anche (e forse soprattutto) quella “vocazione produttiva” che, proprio nel contesto delle finalità mutualistiche, il capitale d’impresa rafforza e rende insopprimibile. Questo, in fondo, mi sembra che significhi prima di tutto il carattere “non speculativo” della partecipazione del socio nella cooperativa.

Esso certamente non presuppone il perseguimento di interessi meta-economici: in quanto società la cooperativa deve prefiggersi la realizzazione di un utile e l’attribuzione di vantaggi economici ai soci (lo scopo mutualistico connota, semmai, le modalità di attribuzione del vantaggio economico).

Fare riferimento ad una impresa “non speculativa” significa, a mio avviso, dovere concepire l'attività d'impresa in termini di stabilità e non di redditività immediata, dover riuscire a vederne la proiezione nel tempo sulla base di un programma di perseguimento degli interessi comuni, e tendenzialmente omogenei, dei soci. Dover vedere, mentre si prepara il masso per il muro, la cattedrale costruita.

Nel contesto liquido della nostra società, ma purtroppo ormai anche della nostra economia, questa capacità di visione del futuro è merce sempre più difficile e rara, come dimostrano sotto altro profilo le polemiche di stretta attualità sulle opere di protezione ambientale e sulla miopia dell'amministrazione della cosa pubblica. Ma è anche merce sempre più necessaria.

La cooperazione e la sua storia dimostrano quanto i suoi magazzini siano pieni di questa materia prima e, proprio adesso che le crisi aziendali stanno devastando imprese centenarie, occorre dare nuovo impulso ad un'azione di promozione cooperativa che sappia dimostrarsi capace di interpretare e dare prospettiva ai bisogni dei giovani lavoratori che non solo il lavoro non ce l'hanno, ma che per lo più se lo devono inventare senza poter utilizzare le strutture produttive esistenti.


Roberto Genco



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