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15 - Per una critica ad un neo Nobel - Jean Tirole e la governance cooperativa

Postato il 16 Ottobre, 2014 da Antonio Zanotti

logo 1. Il 13 ottobre scorso l’Accademia delle Scienze svedese ha assegnato il premio Nobel per l’economia a Jean Tirole, terzo francese a ricevere il prestigioso riconoscimento dopo Girard Debreu (1983) e a Maurice Allais (1988). Anche se è diventato uso corrente parlare di Nobel per l’Economia, questo premio ha ben poco a che vedere con i premi Nobel veri e propri. I premi sono dovuti al lascito di Alfred Nobel (1833-1896) che, per espiare il senso di colpa per l’uso bellico della sua maggiore invenzione, la dinamite, sperò, in questo modo, di venire ricordato per motivi più nobili. Il premio doveva essere assegnato a coloro che avessero apportati ‘considerevoli benefici all’umanità’, distinti in cinque campi specifici: Pace, Letteratura, Medicina, Chimica e Fisica. Il premio venne assegnato per la prima volta nel 1901. Alfred Nobel non ha quindi nulla a che vedere con il Premio Nobel per l’Economia. Nel 1969 la Banca di Svezia, per festeggiare i 300 anni dalla sua fondazione, istituì un premio per gli studi economici, incaricando la Fondazione Nobel della sua assegnazione. Sin dal suo insorgere il premio per l’Economia fu molto contestato e in particolare gli eredi di A. Nobel hanno sempre dichiarato la loro contrarietà, sino a cercarne il disconoscimento per via legale. Il premio ha subito numerose altre critiche, fra cui che l’Economia sia una scienza paragonabile alla Fisica, alla Chimica o alla Medicina. In questo caso anche gli economisti, con un senso di auto ironia, hanno fatto circolare la battuta che il premio potesse venire assegnato a persone che, di fronte allo stesso problema, pensassero in modo esattamente opposto. Paradosso che la stessa Accademia delle Scienze ha alimentato riconoscendo il premio ad economisti di ‘destra’ (in maggioranza) e ad economisti di ‘sinistra’ (in minoranza), raggiungendo probabilmente l’apice della contraddizione nel 1974, quando il premio fu assegnato congiuntamente a Frederick von Hayek e a Gunnar Myrdal (più volte pronunciatosi a favore dell’abolizione del premio).

2. Jean Tirole non si può dire sia un economista particolarmente noto al grande pubblico, al contrario dei suoi connazionali Jean Paul Fitoussi e Thomas Piketty, astro nascente. In questa breve nota lo vogliamo ricordare per una breve passaggio della sua ricerca dedicato all’impresa cooperativa. Nel 2001 nel nr. 69 della rivista Econometrica, fu pubblicato un suo articolo sulla Corporate Governance 1. Oggetto del saggio è se fosse possibile un sistema di corporate governance ispirato al principio della ‘Stakeholder Theory’ 2 in contrapposizione al principio consolidato della ‘Shareholder Theory’ . La risposta di Tirole è decisamente negativa, sostenendo che una gestione orientata al soddisfacimento degli interessi degli stakeholders non è misurabile. Sotto questo punto di vista la teoria incentrata sulla massimizzazione della creazione di valore per gli azionisti è la sola a mantenere la barra dritta per potere valutare le perfomances del management.

L’autore ipotizza che in una gestione orientata agli stakeholders, il management dovrebbe mirare a massimizzare la somma dei surplus spettanti ad ogni categoria. Anche ammettendo che il management non sia da considerarsi esso stesso uno stakeholder, su quali basi sarebbe poi possibile fissarne la misurazione della performance in funzione dei risultati ottenuti per ogni classe di stakeholder? In sintesi una gestione ispirata a queste finalità è semplicemente impossibile a misurarsi 3. Se per gli economisti questo punto di vista è, secondo Tirole, inconfutabile 4, egli sostiene che è, al contrario, difficilmente comprensibile per i non-economisti, i quali ritengono che le imprese debbano essere soggetti responsabili, in grado cioè di rispondere non esclusivamente alla platea degli shareholders, ma a quella ben più ampia degli stakeholders, di cui sono punti fermi i dipendenti, i creditori e la comunità. Sebbene i dubbi avanzati contro la possibilità di una gestione dell’impresa multistakeholder siano condivisibili, resta piuttosto debole la motivazione che solo l’impresa controllata dagli investitori porti a decisioni efficienti e a risultati misurabili. Per Tirole è più facile proteggere gli stakeholders dai comportamenti opportunistici degli shareholders che non viceversa. Mentre i dividendi pagati agli shareholders sono altamente visibili e verificabili, i dividendi pagati agli stakeholders non lo sono, per cui la protezione per gli investitori sarebbe minima 5.

3. Fra le forme societarie non di capitali Tirole cita le joint-venture, definite come le imprese controllate dai fornitori di un input specifico diverso dal capitale come le cooperative agricole, ma anche società come Visa, MasterCard e molte società di gestione delle borse valori. Queste ultime società sono delle cooperative vere e proprie, regolate dai quattro principi fondamentali della cooperazione: 1) la porta aperta; 2) la suddivisione dell’utile su base mutualistica (ristorno); 3) il voto capitario; 4) la riserva indivisibile. Indubbiamente considerare queste ultime società come delle ‘cooperative’ può fare storcere il naso a coloro che credono che la cooperazione sia una forma di impresa costituita per l’emancipazione dei lavoratori (interpretazione che annovera grandi economisti dell’800 come John Stuart Mill ed Alfred Marshall), ma resta comunque il fatto che esse applicano i principi base della cooperazione 6. Tirole, in modo piuttosto semplicistico, ritiene che la forma d’impresa cooperativa registri fra i soci una maggiore eterogeneità di interessi rispetto agli investitori di una società per azione, da cui conclude che i processi decisionali debbono, per forza di cose, essere meno efficienti. A sostegno di questa tesi si richiama ad H. Hansmann 7 alterandone, a nostro avviso, considerazioni molto più convincenti. Hansmann infatti aveva sostenuto che la forma cooperativa ha difficoltà ad attecchire in ogni ramo d’attività proprio per via di una maggiore eterogeneità di interessi fra soci, ma là dove queste differenze sono contenute, la forma cooperativa non incontra nessun impasse di tipo decisionale. In conclusione questi brevissimi accenni che il neo premio Nobel dell’economia ha dedicato alle cooperative, non sembrano dimostrare una grande comprensione del fenomeno.


Antonio Zanotti

 

1- L’articolo riproduceva sostanzialmente il suo indirizzo presidenziale alla Econometric Society del 1998. Le stesse argomentazioni si trovano anche nel suo ponderoso manuale The Theory of Corporate Finance a pagg. 62 e seguenti (2006 Princeton University Press).
2- Per un’ampia discussione dei differenti approcci alla governance societaria, ci sia permesso il rinvio al nostro La governance societaria: Società per azioni e cooperative a confronto – 2014 Rubbettino.
3- Per Tirole il dibattito dovrebbe concentrarsi non tanto sulle diverse finalità che una società diretta al soddisfacimento degli interessi degli stakeholders, quanto piuttosto su come questi interessi siano soddisfatti. Pur non citandola in modo esplicito, il modello comportamentale dei manager, che Tirole da per scontato è quello dalla Agency Theory, ritenendo impossibile altri modelli comportamentali, come quelli sostenuti dalla Stewardship Theory, addirittura definiti come naif
4- Nella nostra ricerca, già richiamata, abbiamo cercato di illustrare i numerosi puniti deboli di tale teoria.
5-Purtroppo non abbiamo lo spazio necessario per entrare nel merito di queste asserzioni che ci sembrano molto arbitrarie e sostenute con argomentazioni a nostro avviso molto deboli.
6-Per inciso rammentiamo che uno dei più importanti studi sugli effetti del voto per testa rispetto al voto per azione prende come esempio del primo caso proprio le società di gestione delle borse valori (Hart Oliver – Moore John, The governance of exchanges: members’ cooperatives versus outside ownership – Oxford Review of Economic Policy, vol. 12 n. 4, 1996.
7-Hansmann Henry, La proprietà dell’impresa – Il Mulino 2005


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1 Commenti
  1. Everardo Minardi on 27/10/14

    Caro Zanotti,
    ho letto il tuo commento su nuovo premio Nobel sulla economia, e pur non avendo alcuna competenza in cose economiche, addirittura econometriche, sento di condividere la tua critica.

    Grazie

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