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13 - Il futuro della cooperazione di produzione e lavoro

Postato il 8 Ottobre, 2014 da Rossano Rimelli

logo C' è un futuro per l'impresa cooperativa di produzione e lavoro nel settore industriale? Questo interrogativo è tutt'altro che retorico e turba il sonno di molti cooperatori che negli ultimi anni si sono trovati ad affrontare crisi gravissime di grandi cooperative, specie nel settore delle costruzioni e delle attività manifatturiere, impiantiste, ecc. della filiera. Basti pensare alla chiusura per fallimento o all'avvio di procedure, giudiziarie e non, di cooperative con una storia secolare, che occupavano centinaia di soci lavoratori e fatturavano centinaia di milioni di euro. "Colossi" , come vengono definiti dalle cronache di stampa, che in poco tempo sono stati annientati o quasi dalla crisi. Il settore delle costruzioni è crollato a causa della più grave crisi dal dopoguerra, il mercato si è ridotto di un terzo (quello pubblico anche di più), i valori immobiliari sono stati falcidiati, i rubinetti bancari si sono chiusi.

Le cooperative hanno strenuamente difeso l'occupazione, molto più delle altre imprese. Pur di non tagliare drasticamente i costi del lavoro hanno perso grandi quantità di patrimonio. Potevano fare di più? Molti critici, spesso lontani da concrete competenze e capacità di gestione d'impresa, hanno rimproverato ai manager cooperativi la miopia delle scelte, la mancanza di visione strategica: l'estero, i nuovi mercati.., spesso non pesando adeguatamente la drammatica conseguenza di una domanda aggregata crollata che lascia poco spazio ad alternative percorribili. E tuttavia le critiche ai cooperatori "costruttori" spesso non mancano di fondamento, specie quando rivolte ai gruppi dirigenti che si sono attardati su operazioni immobiliari complesse, di grandi dimensione, avulse dalle vocazioni specifiche delle basi sociali.

All'origine di molti errori c'è proprio il distacco delle scelte strategiche dalle condizioni dei soci, dalle loro competenze e professionalità. Cooperative che hanno dilatato la loro attività sulle aree commerciali e finanziarie, sempre meno sul "saper fare" impresa di costruzioni, nel senso completo dell'espressione, con mestieri ed esperienza coltivati dentro la cooperativa e nella realizzazione di opere nel tempo. Esami critici giusti, da fare senza timori, e con le conseguenze necessarie. Non sempre del tutto generosi invece i giudizi talvolta espressi da ambienti politici e non, che hanno dimenticato il favore con cui sostenevano grandi operazioni immobiliari quando il mercato tirava. Nell'avere "la vista corta" le cooperative sono state in buona compagnia.

Di sicuro di errori ce ne sono stati, e anche gravi. Molti dirigenti sono cambiati, alcuni forse troppo tardi. C'è da considerare che negli ultimi anni molte cooperative, crescendo ed affermandosi sul mercato, hanno accentuato moltissimo la propria autonomia dal sistema associativo. Questo è stato un fatto positivo perché è corrisposto a una crescita imprenditoriale delle cooperative stesse. Il dato non positivo è il contestuale relativo distacco dalle tematiche sociali e di appartenenza a un "sistema", che ha prodotto anche un indebolimento della struttura di rappresentanza sia dal punto di vista della capacità di servizio che dell'autorevolezza politica nel presidio dei valori cooperativi.

Ora sono in atto importanti ristrutturazioni, accorpamenti, ecc. Ma forse non ci si chiede abbastanza se il modello cooperativo in questi settori industriali sia ancora valido, e se sì a quali condizioni. Una prima risposta può venire dall'osservazione attenta dei fatti, meglio che da macro analisi spesso mutuate da ambienti esterni al mondo cooperativo, che hanno sì carattere di contiguità, specie merceologica o di business, ma con diverse condizioni al contesto. Le cooperative sono imprese, ma hanno delle differenze che se non considerate non permettono di effettuare analisi corrette. Le diversità maggiori rispetto alle imprese lucrative riguardano soprattutto la natura sociale della cooperativa e nel caso della produzione e lavoro si tratta di cooperative basate sui soci lavoratori. La possibilità o meno di mantenere le cooperative su questi mercati deriva essenzialmente dalla volontà dei soci di impegnarsi e di rischiare nell'attività cooperativa, apportando capitale sociale ma ancor di più il proprio contributo di lavoro.

Questo è un carattere distintivo assoluto. Alla base di molte crisi cooperative c'è la sottovalutazione di questa specificità. Di norma se in un'impresa lucrativa i profitti non remunerano il capitale investito, in un modo o nell'altro l'impresa chiude. Dovrebbe essere lo stesso in una cooperativa? Non è facile rispondere, perché in una cooperativa si tenta di salvare innanzitutto il lavoro dei soci e negli ultimi tempi, a seguito della crisi, ciò è accaduto molte volte, anche sacrificando parte importante del patrimonio. È uno dei motivi di maggiore tensione al momento di assumere decisioni in situazioni difficili. La scelta di licenziare o di ridurre i soci lavoratori impiegati nell'attività della cooperativa non è affatto semplice. Si è detto più volte che la cooperativa in una situazione di crisi è generalmente più resiliente, nel senso che è in grado di resistere maggiormente mantenendo l'occupazione. Forse questo è vero, ma molto dipende dalla gravità e dalla diffusione delle crisi. In una situazione dove una o più cooperative sono entrate in difficoltà, il "sistema cooperativo" ha reagito con forme rilevanti di solidarietà e mutualità esterna.

Ma quando la crisi, come nel settore delle costruzioni, è generalizzata e protratta nel tempo (sono ormai sette anni), tutto si complica ulteriormente. Gli stessi interventi di solidarietà hanno impegnato grandi risorse che si sarebbero potute altrimenti investire su progetti di sviluppo. Si potrebbe obiettare che le due opzioni, il salvataggio e il progetto strategico, non siano alternative, anzi... In teoria è così, ma nella pratica si creano situazioni che non lasciano sbocchi futuri e non per questo ci si astiene dal chiedere aiuto al Movimento, specie per salvare l'occupazione dei soci. Un altro fattore da considerare è l'effetto catena delle crisi. Proprio perché nel sistema cooperativo il mercato captive è importante, sussiste una quantità rilevante di relazioni commerciali tra cooperative che agiscono nella stessa filiera o in ambiti connessi, e quando una grande cooperativa va in crisi ed è insolvente nei confronti dei fornitori, l'azione di sistema abituale diventa un boomerang. Come si può vedere, in situazioni di crisi diffusa l'impatto sulle cooperative è simile, e per certi aspetti peggiore, di quello sulle imprese lucrative, almeno dal punto di vista dei soci lavoratori, che oltre al lavoro perdono una parte o la totalità del capitale sociale e dell'eventuale prestito.

A vantaggio dei lavoratori, e a nostro giudizio è un vantaggio netto e certo, c'è l'azione del sistema volta a cercare soluzioni alternative di occupazione, gestire al meglio gli ammortizzatori sociali, ecc. In caso di crisi viene fatto molto per tutelare i soci, ma il punto è cercare il consenso e la condivisione delle scelte della cooperativa prima di una crisi e di prendere decisioni che siano effettivamente nel loro interesse e in quello delle future generazioni. Non bisogna mai trascurare infatti che il capitale cooperativo ė intergenerazionale e che gli amministratori e i dirigenti gestiscono la cooperativa con questa finalità: preservare l'attività mutualistica in funzione sociale. È innegabile che in determinati casi, specie quando la cooperativa assume particolare rilievo, si corre il rischio di perseguire obiettivi più in sintonia con il management che con gli interessi dei soci, e non è detto tali obiettivi siano sempre coincidenti.

La funzione e la mission della cooperativa devono sempre restare al centro dell'attenzione. Operare sul mercato è una condizione imprescindibile per una cooperativa che sia impresa. Un'impresa non può operare esclusivamente su un mercato virtuoso, ma spesso inaccessibile, deve costruire le case che il mercato richiede, concorrere a partecipare a gare pubbliche per opere e servizi stabiliti a livello politico... Ma è possibile fare delle scelte e tuttavia non sempre ci si è collocati dalle parte giusta. Il gruppo dirigente della cooperazione deve impegnarsi in modo nuovo e operare scelte nuove, capaci di interpretare e dare risposta alle attuali aspettative sociali, che possono essere concretizzate con nuove cooperative saldamente legate alla propria base di soci lavoratori. Valorizzare il socio è essenziale. Senza la partecipazione sociale alla vita della cooperativa la differenza con un'impresa lucrativa si riduce a un aspetto meramente formale. Le società e i loro modelli economico-produttivi attraversano una grave crisi nel nostro come in altri Paesi, appare quindi necessaria una prospettiva di crescita della democrazia economica, che non è sicuramente meno competitiva di altre forme di economia di mercato.

E la nostra cooperazione di lavoro può fare la sua parte promuovendo la nascita di imprese, contribuendo a salvataggi industriali (cosa che sta accadendo con decine di nuove cooperative), partecipando insieme ad altri soggetti alla gestione dei beni comuni, al nuovo welfare, alla costruzione e gestione di opere che valorizzino le nostre risorse naturali, ambientali, culturali. La cooperazione di lavoro può rappresentare una prospettiva concreta per tanti giovani alla ricerca di un obiettivo professionale e di partecipazione sociale. Il progetto dell'Aci è ormai realtà e ciò può essere di aiuto per rafforzare la struttura associativa in modo diffuso, anche superando vecchie distinzioni ideologiche ormai senza senso. Non esiste quindi l'interrogativo se la cooperazione di produzione e lavoro abbia o meno un futuro. C'è piuttosto la necessità di rendere adeguata una struttura organizzativa capace di interpretare una nuova domanda sociale.


Rossano Rimelli

Ancpl-Legacoop

 


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