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12 - Intergenerazionalità cooperativa e sostenibilità economico-sociale

Postato il 2 Ottobre, 2014 da Alfredo Morabito

logo Lo scritto di Mauro Giordani (Inizia l’attività del blog sul sito della Fondazione) evoca molti dei temi di riflessione sulla cooperazione, solo parzialmente discussi tra cooperatori piuttosto che in occasioni di confronto e approfondimento promosse dall'organizzazione cooperativa. Sono peraltro questioni lasciate, forse involontariamente, sopite anche nelle azioni che stanno portando alla creazione dell'ACI: sappiamo tutti come su questi temi impostazioni culturali, esperienze e prospettive divergano anche significativamente e come il sottovalutarne la portata mini l'assetto costituzionale dell'ACI e sia foriero di problemi relazionali futuri, con grave depotenziamento delle opportunità cooperative.

Ben venga quindi questa proposta di discussione della Fondazione, anche se siamo coscienti non essere sufficiente. Alcune riflessioni nel merito. La cooperazione ha teso nella sua evoluzione a conciliare il lavoro e il bisogno del socio (fattore mutualistico distintivo) con il capitale (strumentale alla realizzazione della funzione obiettivo). Ogni volta che i fattori sono stati invertiti (capitale prioritario su mutualità) si sono verificati danni importanti, liquidazioni di esperienze di impresa anche antiche, perdita di patrimoni faticosamente accumulati nei decenni, dispersione di capacità professionali e relazionali cresciute nella cooperativa e costituenti il maggiore patrimonio intangibile dell'impresa.

Sempre in questi casi, la governance ha evidenziato forme di accentramento nell'uomo solo al comando o nell'oligarghia tecnocratica dei manager. Ma altrettanti danni sono stati causati dalla sottovalutazione dell'utilità del giusto profitto ai fini della sostenibilità dell'impresa cooperativa e dell'accumulazione dei capitali necessari allo sviluppo (non provenendo in misura significativa da investitori capitalistici, non possono che essere accumulati dall'attività dei cooperatori). Così come il non tener sempre a mente che fare impresa cooperativa è un processo dinamico e non un'attività in equilibrio statico: necessita pertanto di innovazione continua, studio e formazione, coraggio della sperimentazione, capacità di creare e stare dentro reti con altre cooperative, imprese, territori, ecc.

Perchè tutto ciò abbia successo (sia cioè efficace nel raggiungimento della funzione obiettivo mutualistica) sono fondamentali le competenze, la capacità e la tenacia nelli studio e nell'apprendimento dei cambiamenti in atto, l'entusiamo e la responsabilità dei cooperatori. La cooperazione rimane comunque uno strumento economico e sociale e può essere più utile in alcune situazioni (credo la maggioranza) piuttosto che il altre (che ritengo comunque essere una minoranza). Sicuramente non è uno strumento idoneo se si persegue la speculazione di breve periodo, l'arricchimento personale e illimitato dell'imprenditore-proprietario, un ruolo marginale delle persone e delle loro relazioni.

È altresí strumento pregiato quando si perseguono obiettivi di sostenibilità di lungo periodo, accumulazione dei benefici per la crescita della cooperativa (con crescita derivata anche dei cooperatori), essenzialità dei fattori umani (professionalità, responsabilità, entusiamo e disciplina, relazionalità), priorità alle relazioni di rete, a quelle territoriali e alla gestione di beni comuni. Il tutto con la capacità di stare sul mercato e di cambiarlo attraverso l'innovazione tecnologica, organizzativa e sociale (attraverso processi di traformazione collettiva sia dal lato della domanda, che dell'offerta, che della capacità di autoproduzione).

L'obiettivo cooperativo è lo sviluppo di un'economia sostenibile (sia a livello macro che microeconomico) e, quindi, intergenerazionale. Sostenibilità intesa, come afferma l'amico prof. Enrico Giovannetti dell'Università di Modena (che spero intervenga direttamente su questi temi), come capacità di riprodurre o rigenerare i fattori utilizzati nella produzione riducendo al minimo l'"attrito" e quindi il consumo o la distruzione marginale. Sostenibilità e accesso, più che proprietà, ai mezzi di produzione (J. Rifkin) con valorizzazione del lavoro e delle reti; essenzialità di una forma avanzata a governance partecipata dei beni comuni (E. Ostrom); una eventuale crescita manifatturiera (e non solo) caratterizzata da una maggiore produttività, ma da una minore occupabilità, genera l'evidente necessità, richiamata anche dall'Unione Europea, di promuovere la creazione di impresa e di nuovi mercati in ambiti in cui sia rilevante il fattore umano.

Tutti questi sono campi in cui la cooperazione è chiamata a scommettere se vuole continuare a svolgere un ruolo strategico in una società in profonda trasformazione. Tutto il resto (piccola o grande cooperativa, operante su uno o più territori, che produce più o meno profitti, ecc.) appartiene a un dibattito sterile e inutile, promosso da chi non ha a cuore il futuro delle generazioni che sceglieranno la cooperativa, ma che mira solo al consolidamento della propria posizione in attesa di un pensionamento che arriverà sempre più tardi.


Alfredo Morabito

 


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