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09 - Un movimento intergenerazionale

Postato il 16 Settembre, 2014 da Tito Menzani

logoChi sono i proprietari delle cooperative? I soci. Tuttavia, per dare una risposta più esauriente e in fin dei conti più corretta, bisognerebbe aggiungere che i proprietari non sono solo i soci, ma anche i soci di domani. Le cooperative sono caratterizzate dalla intergenerazionalità, ossia dall’essere un patrimonio – economico, di competenze, di valori – che resta radicato sul territorio e a disposizione della comunità. E vive attraverso la comunità.
Le persone si fanno socie delle cooperative, il tempo passa e loro si pensionano o muoiono. Ma le cooperative non muoiono con loro, perché nel frattempo sono state alimentate da nuove generazioni che hanno perpetrato il patto associativo.
Le possibili obiezioni a questa rappresentazione sono due. La prima è quasi scontata: se così fosse le cooperative sarebbero eterne, ma l’esperienza ci dice che non lo sono. Dobbiamo tenere presente che le cooperative sono imprese e come tali sono soggette alle leggi del mercato, dell’efficienza e della competitività. Quindi possono andare in crisi e fallire, proprio come tutte le altre imprese. Ovviamente, il discorso della intergenerazionalità è valido in linea di principio, ma nel concreto presuppone che le generazioni di soci e di addetti che si susseguono le une dopo le altre abbiano le capacità per fare impresa e stare sul mercato, perché questo non è un fatto ovvio.
La seconda obiezione è più sottile: anche le imprese convenzionali sono caratterizzate dalla intergenerazionalità, perché non cessano quando muoiono gli azionisti, ma continuano ad esistere perché subentrano nuovi proprietari. Possiamo dire che ci sono cooperative molto longeve, come quelle di consumo, alcune delle quali affondano le radici della propria storia nella seconda metà dell’Ottocento, ma ci sono anche aziende non cooperative altrettanto longeve, come la Fiat, nata nel 1899, o la Pirelli, fondata nel 1872, o ancora la Buitoni, che risale addirittura al 1827, solo per limitarsi ad alcuni casi tra quelli più noti.
Qual è la differenza?
Sta in un concetto, anche abbastanza semplice. Si chiama mercato delle quote azionarie. In una impresa convenzionale, i proprietari sono gli azionisti. Ognuno di essi è libero di vendere le proprie quote o parte di esse, e di comprarne altre se trova qualcuno che gliele vende. Il prezzo è sostanzialmente fissato dal mercato. Se l’azienda è piccola, ci sarà probabilmente una trattativa privata, se è grande e addirittura quotata in borsa, lo scambio avverrà tramite un intermediario, ad esempio una banca. Se vado in un istituto di credito e voglio comprare delle azioni della Fiat mi verrà detto che al momento in borsa sono quotare al tal prezzo, in base al quale io posso fare un’offerta di acquisto. Se qualcuno, intenzionato a vendere, l’accetta, quelle azioni passano da lui a me.
Nelle cooperative non funziona così. Il capitale azionario non è predeterminato e soggetto ad un mercato, ma è illimitato. Chiunque può fare domanda di diventare socio, versando la quota prevista dallo statuto, che va così ad implementare il capitale sociale. Non c’è qualcuno che vende e qualcuno che compra, ma solo qualcuno che si associa. È una differenza fondamentale.
 Nell’impresa convenzionale la intergenerazionalità è un fatto meccanico. Quando un azionista muore, l’azione passa automaticamente agli eredi, che possono decidere di tenerla o di venderla a seconda delle convenienze. Nella cooperativa, quando un socio muore, la quota sociale viene rimborsata agli eredi, salvo diverse disposizioni statutarie o testamentarie. In nessun caso, però, può essere trasferita d’ufficio al figlio o al nipote, senza che questi non faccia esplicita richiesta di diventare socio e, ad esempio, non scelga volontariamente di utilizzare il rimborso della quota del defunto per sottoscrivere una nuova azione cooperativa a proprio nome.
Nelle cooperative, la quota sociale non è un bene qualunque e come tale commerciabile o soggetto alle prassi delle pratiche ereditarie. È una scelta consapevole e volontaria. Si diventa soci perché si ravvisa una certa convenienza e si condividono determinati valori. E si recede da socio perché si ritiene che siano venute meno queste condizioni. In nessun caso si può vendere la propria quota sociale a terzi, anche se si dovesse trattare di un atto privo di intenti speculativi.
Detto questo, comprendiamo perché nelle cooperative la intergenerazionalità sia un valore. Innanzi tutto, poiché non è un fatto meccanico, la cooperativa è sollecitata e invitata a educare i giovani e a spiegare ad essi i propri valori e il proprio modo di essere, pena il rischio di morire per le difficoltà di ricambio generazionale. Ma soprattutto la sinergia tra la mancanza del mercato delle quote sociali e il divieto di distribuzione degli utili fa sì che le cooperative siano un patrimonio a disposizione delle comunità, che in nessun caso può essere alienato per un qualche tornaconto economico.
Non a caso, fin dalle origini del movimento cooperativo, tra i capisaldi costituenti vi era l’educazione dei soci e dei cittadini in genere. Da un lato, all’epoca, l’assenza del welfare modernamente inteso e l’alto tasso di analfabetismo avevano convinto i padri fondatori della cooperazione a destinare una parte dei proventi alla scolarizzazione. Dall’altra, a questo compito di base – insegnare agli operai e ai braccianti a leggere e a scrivere – si accompagnava una missione altrettanto importante, e cioè investire in una formazione politica e civile rivolta a soci e non soci, per far comprendere come mai le cooperative fossero un modello socio-economico peculiare e come tale importante.
Il movimento cooperativo ha oltre centocinquant’anni di storia. Ciò significa che almeno sei generazioni di cooperatori hanno profuso in esso il proprio impegno e creduto in certi valori. Oggi, soprattutto in Italia, abbiamo numerose cooperative molto grandi, solide e robuste, forti di fatturati davvero importanti, di attività sempre più articolate, di un radicamento territoriale via via più esteso.
È come se ogni generazione avesse ricevuto un piccolo patrimonio da quella precedente e lo avesse consegnato, incrementato, a quella successiva. Certo non sono mancati i momenti di difficoltà – basti pensare al fascismo – ma in linea generale è questa la dinamica di fondo che ha consentito una progressiva accumulazione. Ed è una dinamica intergenerazionale.
Ma perché tutto ciò continui ad essere un valore anche domani, c’è bisogno di educare i nuovi soci, perché nessuno è eterno e prima o poi i vecchi se ne andranno. È certamente una sfida che merita di essere raccolta, perché la cooperazione è un pezzo della nostra storia e della nostra identità, nonché una scelta etica tutt’altro che banale.


Tito Menzani

 


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1 Commenti
  1. Antonio Zanotti on 06/10/14

    Sono convinto che l'intervento dell'amico Menzani incontri un consenso generalizzato perchè rappresenta l'opione "ortodossa", ma essendo io, al contrario, un eretico, avanzo più di una perplessità, anzi almeno tre.
    1) Sono sempre più convinto che la questione della proprietà di una società (cooperativa e non) sia qualcosa di più complesso di affermare che i proprietari siano i Soci. I romani definivano la proprietà come la facoltà di usare ed abusare della propria cosa fin dove lo permette la ragione del diritto.
    I soci di una public company o di una cooperativa esercitano forse questo diritto? I soci sono piuttosto proprietari di diritti (amminsitrativi - diritto di voto ed economici - diritto al residuo; per le cooperative occorre aggiungere il diritto allo scambio mutualistico) sui titoli rappresentativi del capitale e non sulla società (nè tanto meno sui suoi asset). Non a caso da tempo nella letteratura americana i soci sono definiti come shareholders e non come owners.
    2) Tutte le società (coop e non) nascono per la volontà dei loro soci fondatori. Se la società non risponde alle loro aspettative verrà sciolta, diversamente l'interesse alla sopravvivenza diventa prioritario.
    In questo non cè niente né di misterioso né di pensiero rivolto alle genenrazioni future, ma risponde al più naturale degli istinti egoistici: la necessità di sopravvivenza.
    3) Credo che le specitificità della società cooperativa vadano ricercate su basi diverse.

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