In molte cooperative ci si lamenta che non vi sia quella “naturale collaborazione” che ci si dovrebbe aspettare in imprese di questo genere. Ma la domanda vera è questa: perché i soci di una cooperativa dovrebbero collaborare fra di loro? Per quale motivo dovrebbero condividere lavoro, soldi e beni con gli altri soci? Normalmente si tira in ballo il fatto che ci si fida degli altri. Ma non è detto che questo sia un fattore indispensabile: la fiducia più spesso è una conseguenza della collaborazione, non la causa. Per collaborare con gli altri occorre avere di fronte la prospettiva di un rapporto di lunga durata. Quando sai che avrai a lungo rapporti regolari con altre persone, ti rendi conto immediatamente dei vantaggi che derivano dalla collaborazione, e che un comportamento opportunistico ti esporrebbe a ritorsioni e punizioni. Come ha messo bene il luce Axelrod, la chiave sta “nell’ombra del futuro”: a farci collaborare è la prospettiva che ci sarà un futuro in cui ci si incontrerà nuovamente. Ma questa prospettiva da sola non basta: perché la collaborazione abbia successo, è necessario che le regole della cooperativa consentano di punire un comportamento non collaborativo appena si manifesta. Insomma, in una vera organizzazione collaborativa bisogna essere “disponibili, comprensivi, e pronti alla rappresaglia”. La cooperativa inizia ad andare in crisi quando vengono tollerati comportamenti opportunistici. Quando viene violato il patto fondante fra i soci, che prevede l’equa distribuzione di costi e benefici secondo il principio della mutualità. Quando qualcuno defeziona dai propri doveri e trae vantaggio dal fatto che gli altri fanno la loro parte. È opportunista chi si comporta da free rider, chi sfrutta le disuguaglianze informative a proprio vantaggio, chi si appropria in modo iniquo delle risorse comuni. È difficile che vi sia opportunismo quando vi sono forti valori ideali, identificazione con la mission istituzionale, diffuso controllo sociale. È più facile che nasca opportunismo quando sono presenti interessi troppo diversi fra i soci (ad esempio fra grandi e piccoli soci nelle cooperative agricole, o fra i soci fondatori e i nuovi soci nelle cooperative di lavoro), o quando i soci non si sentono responsabilizzati per la soluzione dei problemi comuni. Occorre presidiare con grande attenzione i processi di selezione in entrata (porta aperta non significa far entrare chiunque), sviluppare pratiche organizzative improntate al sostegno reciproco, alla condivisione di informazioni e responsabilità, alla diffusione della conoscenza, all’equità nell’accesso e distribuzione delle risorse.
Giuliano Nicolini
Rosa Conti on 15/09/14
purtroppo non sono i soci minori ,o per meglio dire soci dipendenti,che non gli piace un certo tipo di collaborazione e responsabilità,ma ritengo che una parte di responsabili e capi area non hanno capito che il loro ruolo e di risolvere i problemi e di non causarne altri è vero non può entrare chiunque ,per lo meno in quei ruoli ci vorrebbe un'attenta selezione perchè gli interessi debbano essere uguali