Home » La Rivista » Dettaglio Articolo

05 - Cooperazione e Sharing Economy

Postato il 10 Luglio, 2014 da Paolo Venturi

logoÈ ormai ampiamente noto che lo star-bene (well-being) delle persone è associato non solamente ai bisogni materiali, ma anche – e soprattutto – ai bisogni relazionali e cioè alla loro capacità di entrare in relazione in modo genuino con altri (Zamagni, 2006) 1. Ed è altresì noto che, mentre le nostre economie avanzate sono diventate “macchine” straordinariamente efficienti per soddisfare l’ampia gamma dei bisogni materiali, non altrettanto si può dire di esse per quanto attiene i bisogni relazionali. La società attuale ci restituisce un nuovo concetto di scarsità: nell’abbondanza di beni e di contatti ciò che manca sono le relazioni, intese come quello scambio che attiva la persone in un percorso di “senso” e di “significato”. Il vero paradosso è che questo nuovo concetto di scarsità aumenta il valore delle relazioni facendole diventare un elemento di produzione del valore. I bisogni relazionali non possono essere adeguatamente soddisfatti mediante beni privati, quale che ne sia il volume e la qualità, ma richiedono l’attivazione di altri beni relazionali, beni cioè la cui utilità per il soggetto che lo consuma dipende, oltre che dalle loro caratteristiche intrinseche e oggettive, dalle modalità di fruizione con altri soggetti. Relazionale è quindi il “bene” che può essere prodotto e fruito soltanto insieme (Sennett, 2012) 2 . Come ha riconosciuto lo stesso Arrow (1999) 3: “Gran parte della ricompensa derivante dalle relazioni interpersonali è intrinseca; la ricompensa, cioè, è la relazione stessa”. Amicizia, fiducia, felicità sono altrettanti esempi di beni relazionali.

I beni privati e i beni pubblici, pur opposti tra loro rispetto agli elementi della rivalità e della escludibilità dal consumo, condividono un comune tratto: quello di non presupporre necessariamente la condivisione, né la conoscenza dell’identità dell’altro. Due o più soggetti possono consumare un bene pubblico in perfetto isolamento tra loro, mentre ciò non è pensabile per i beni relazionali. Questa premessa è funzionale a dare un’interpretazione su quella che per molti è un’esternalità, una fenomenologia dovuta alla crisi economica, mentre per altri è l’emersione di una nuova forma economica (Mulgan, 2013) 4: la sharing economy. Quotidianamente, infatti, leggiamo e sentiamo parlare di Co-working, Co-housing, Co-production e così via. Queste rappresentano tutte declinazioni di un paradigma del vivere che assume la condivisione e la collaborazione come principio (il quotidiano “La Repubblica” l’ha definito co-vivere) 5. Il limite di molte riflessioni è che questo spirito di collaborazione viene unicamente spiegato e valorizzato come la risposta adeguata per coloro che non riescono ad acquistare la proprietà di molti beni e servizi e che nella condivisione (sharing) sperimentano che cooperare è meglio che possedere singolarmente. Quello che non si è ancora detto è che quel “co” che ritroviamo davanti a tante parole non è il segno di una modernità che rompe con il passato, bensì la riproposizione del principio del cooperare come paradigma economico e come modalità adeguata per ridisegnare le relazioni nella società. Quella relazione può essere, provocatoriamente, il segno di una nuova mutualità che si sta costruendo fuori dai perimetri tradizionali della cooperazione, una sorta di community che, attraverso le nuove tecnologie o la rigenerazione di nuovi spazi, costruisce nuove forme di socializzazione dei bisogni e sperimenta nuove soluzioni collettive (come fece la cooperazione ai suoi albori). Ovviamente la collaborazione non è sufficiente a definire la cooperazione (che prevede anche la condivisione dei fini e non solo degli strumenti), tuttavia è indispensabile per attivarla. La relazione fra sharing economy e cooperazione perciò è fondamentale e necessaria affinché si possa ri-generare sia il “valore di legame” all’origine delle motivazioni dei cooperatori, sia una nuova stagione di promozione cooperativa capace di attrarre una generazione di imprenditori orientati a produrre valore economico e sociale.

Paolo Venturi

 

1- Zamagni, S. (2006), L’economia come se la persona contasse. Verso una teoria economica relazionale, AICCON working paper n. 32, in: - http://www.aiccon.it/file/convdoc/n.32.pdf -.
2- Sennett, R. (2012), Insieme. Rituali, piaceri, politiche della collaborazione, Milano, Feltrinelli.
3- Arrow, K. (1999), “Observations on Social Capital”, in P. Dasgupta, I. Serageldin (eds.), Social Capital. A Multifaceted Perspective, Washington, The World Bank.
4- http://milano.mentelocale.it/51762-milano-geoff-mulgan-sharing-economy-fara-nascere-nuove-monete-locali-intervista/
5- http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2013/01/09/news/co-vivere_ai_tempi_della_crisi-48612629/


La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata la fonte: www.fondazionebarberini.it

1 Commenti
  1. Gabriele Greppi on 10/08/14

    Personalmente ritengo che questo articolo sia molto ben scritto: affronta, infatti, in maniera fluida e lineare concetti di notevole rilevanza e comprensibili anche al lettore non esperto. Esprime proprio quello che secondo me rappresenta il cuore della sharing economy: né un modo per uscire dalle secche del neoliberismo né una maniera per resistere alla crisi ed alla mancanza di protezioni del welfare, ma una nuova way of life, un nuovo modello socio-economico che produce società e social innovation.

Lascia il tuo commento