Nel biennio 2010-2011 la Fondazione Barberini promosse una ricerca, condotta
da Carlo Dell’Aringa e dall’autore di questa nota, avente come obiettivo quello di
verificare lo “stato di salute” della partecipazione dei lavoratori nel mondo della
cooperazione, in particolare di quella emiliano-romagnola. La ricerca nasceva
dall’esigenza di comprendere non solo quanto i cambiamenti innovativi di medio/
lungo periodo intervenuti nel sistema cooperativo avessero inciso e stessero
incidendo sulla caratteristica genetico/fondativa della cooperazione, ma anche per
capire se e quanto la partecipazione dei lavoratori fosse (sia) un fattore di vantaggio,
o all’opposto un inciampo, sulla strada dell’efficienza e della competitività, in
particolare in una fase congiunturale negativa, come già era quella del periodo
considerato.
La ricerca prese in esame due aspetti della partecipazione dei lavoratori: quello
“sociale” che si concretizza attraverso la partecipazione agli organi societari, e quello
“ di relazioni industriali” che si realizza attraverso gli strumenti contrattual-sindacali.
In entrambi i casi si erano verificate significative diversificazioni a seconda dei
settori produttivi nei quali si articola l’universo cooperativo, ma si erano anche
riscontrate linee di tendenza comuni, sia pure con varie accentuazioni.
Nelle realtà indagate dalla ricerca la partecipazione “sociale” appariva come una
caratteristica ancora vitale e generalmente considerata come un momento essenziale
della vita dell’impresa. Emergevano tuttavia diverse criticità, in parte legate a fattori
oggettivi (le dimensioni della base sociale, il tipo di scambio mutualistico) in parte
a fattori soggettivi (la resistenza al ricambio di alcuni gruppi dirigenti, la forza degli
apparati, una certa assuefazione alla delega da parte della base sociale).
Anche per quanto riguarda la partecipazione di “relazioni industriali” si poteva
verificare che il sistema cooperativo si atteneva, nel suo insieme, a comportamenti
rispettosi delle normative vigenti, e a una sostanziale correttezza negli adempimenti
previsti dalle procedure informative e consultive contenute nei contratti, anche se
poi, approfondendo l’indagine, risultava che gli esiti di tali procedure avevano un
modesto impatto sulle decisioni aziendali.
Dall’indagine emergeva poi un dato sorprendente quanto agli effetti della crisi sulle
imprese cooperative: se da un lato si registrava, dall’inizio della crisi (2008), un
calo dei fatturati sostanzialmente in linea con il resto del sistema produttivo, d’altro
lato il sistema cooperativo evidenziava una tenuta, o addirittura un incremento
dell’occupazione, a fronte di un uso tutto sommato moderato degli ammortizzatori
sociali. Ciò induceva a ipotizzare che il dato fosse la conseguenza non solo di
una migliore tenuta, nel breve periodo, del sistema cooperativo rispetto al sistema
“privato”, ma soprattutto di una molto maggiore attenzione da parte delle aziende
cooperative verso gli effetti sociali della crisi. La ricerca si concluse alla fine del
2011 portando con sé una domanda inespressa: quanto avrebbe potuto durare questa
situazione se l’uscita dal tunnel della crisi non fosse stata a portata di mano, ma
anzi si fosse allontanata nel tempo, come in realtà sarebbe poi accaduto, proprio a
partire dal 2012 e dalla svolta che i provvedimenti governativi di quei mesi avrebbero
contribuito a determinare? E quale sarebbe stato il “futuro” della partecipazione se il
contesto più sfavorevole si fosse, in effetti, verificato?
A quasi tre anni di distanza dalla conclusione di quell’indagine si deve constatare
che la crisi ha conosciuto in realtà un aggravamento, in particolare nel biennio
2012-2013, e solo adesso si cominciano a intravvedere deboli segnali di ripresa. Le
conseguenze degli avvenimenti dei sei anni trascorsi, sia dal punto di vista produttivo
che occupazionale, sono tuttavia ben lungi dall’esaurirsi, come rivelano anche i dati
sull’occupazione sia a livello nazionale che regionale.
Nel sistema cooperativo, analogamente all’intero sistema produttivo, la crisi ha
avuto effetti pesanti, manifestatisi con evidenza proprio a partire dall’ultimo triennio.
Naturalmente non si deve generalizzare, né sottovalutare la tenuta che buona parte
del sistema ha manifestato anche nella congiuntura sfavorevole. Tuttavia la crisi ha
inciso profondamente, assumendo fisionomie diverse ad esempio nella produzione
lavoro, dove si sono verificate, in particolare in alcuni comparti, situazioni di vero
e proprio default, nella cooperazione di servizi e in particolare nel comparto della
logistica dove la conflittualità sociale ha superato talvolta il livello di guardia, ma
anche nella cooperazione di consumo, investita dalla crisi della domanda, e in quella
sociale, messa di fronte a profondi cambiamenti nella struttura del welfare.
Queste crisi, oltre a conseguenze sull’occupazione, hanno avuto in taluni casi
un impatto sull’immagine stessa della cooperazione. Nell’opinione pubblica,
storicamente abituata ad aspettarsi un “valore aggiunto” dall’impresa cooperativa,
la crisi ha innescato un calo di fiducia, a volte rinfocolando gli attacchi, spesso
alimentati anche da motivazioni ideologico-politiche, verso l’intero sistema
cooperativo.
Con l’intensificarsi della recessione economica, molti temi connessi con le
problematiche del lavoro sono venuti in primo piano, spesso con assoluta
drammaticità, in particolare in un movimento che dal lavoro è nato e della dignità
e centralità del lavoro ha fatto storicamente la sua pietra d’angolo. E tuttavia, non
v’è dubbio che proprio la crisi invita a porsi una serie di interrogativi che riguardano
la partecipazione dei soci e dei lavoratori, interrogativi ai quali è qui possibile, per
ragioni di spazio, fare soltanto qualche sommario accenno. Si tratta di interrogativi
che in parte riguardano il recente passato, anche se porseli non significa affatto
stare con lo sguardo rivolto all’indietro: per esempio, quanto l’impallidimento
della partecipazione che avevamo rilevato anche nella nostra ricerca, una certa
autosufficienza di alcuni gruppi dirigenti, una concezione passiva della delega,
una sottovalutazione del dialogo (anche) sociale, un, più o meno consapevole,
annebbiamento di alcuni fondamenti dell’identità cooperativa hanno contribuito,
in una fase di radicale cambiamento del contesto produttivo e sociale, ad adottare
strategie che non hanno fronteggiato efficacemente la congiuntura sfavorevole?
Poi interrogativi sul presente: in un momento che, da un lato, richiede decisioni
anche assai difficili e dolorose, ma che d’altra parte può essere fondamentale per
salvaguardare l’esistenza stessa delle imprese e quel passaggio tra generazioni che è
storicamente nel codice genetico della cooperazione, la partecipazione può essere un
valore aggiunto, non soltanto per fronteggiare le dure esigenze della “dismal science”
la “triste scienza”, per gestire le difficili scelte del giorno per giorno, ma anche per
impostare efficacemente le strategie future?
Infine, gli interrogativi sul futuro, che sono forse quelli più importanti. Qui non si può
che rilevare un dato, apparentemente paradossale. Mentre il tema della partecipazione
viene messo in discussione dall’eclissi del dialogo sociale e dalla tentazione di dare
alla crisi sbrigative soluzioni unilaterali, esso acquista d’altro canto un ruolo centrale
nel vivo delle relazioni industriali, come strumento indispensabile per affrontare e
superare l’attuale congiuntura. Solo per citare alla rinfusa alcuni episodi più noti,
si possono ricordare il Protocollo Finmeccanica, del 16 aprile 2013, il documento
elaborato nel gennaio di quest’anno da autorevoli esperti per conto dell’Unione
industriali di Pordenone, nel quale la partecipazione viene collocata come importante
tassello di un complesso mosaico di provvedimenti tendenti a salvare il tessuto
industriale e l’occupazione in quella zona e, più di recente, lo stesso “manifesto”
delle Relazioni industriali di Federmeccanica.
La partecipazione, il “vecchio” principio-base della cooperazione è dunque tutt’altro
che un’idea da rottamare, ma anzi acquisisce, in maniera forse imprevista, forza e
rilievo ben oltre i suoi confini più tradizionali, proprio come strumento per superare
la crisi: come fare a darle nuova sostanza e nuovo vigore, innanzitutto in quello che è
stato storicamente il suo terreno d’elezione?
Mario Ricciardi
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