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03 - Uno strumento di dialogo e discussione

Postato il 4 Luglio, 2014 da Mario Viviani

logoNel movimento cooperativo certamente si discute (comitati, consigli, commissioni, assemblee, congressi), ma si dialoga poco, nel senso che mancano i ragionamenti, le conversazioni e gli scambi un poco più rilassati e sereni (ma anche critici e pungenti se si dà il caso), non inquadrati dalle esigenze aziendali o dagli obblighi istituzionali, non per forza concentrati su di un oggetto solo, senza l’obbligo assoluto della chiarezza e dell’efficienza, ma – eventualmente – con il desiderio dell’approfondimento, della critica, addirittura della (educata) polemica.
Insomma: non credo di essere il solo che sente il bisogno di quello che si chiama (o almeno si chiamava una volta) il “confronto d’idee”.
Per un buon confronto di idee c’è allora bisogno di uno strumento adatto al dialogo, dato che ciò che è mancato – soprattutto nei tempi più recenti - non sono certo state le idee, quanto la possibilità di scambiarsele e confrontarle.
Una volta c’è stata - con diverse interruzioni e parecchie oscillazioni di qualità - “La Rivista della Cooperazione” dell’Istituto Luzzatti, dove un po’ di discussione era possibile. C’è stato anche un momento particolarmente felice, quello di “45” (chi ha meno di cinquant’anni non se lo può proprio ricordare). Ma poi?
Certamente, per ricostruire il dibattito sulla e nella cooperazione può servire la documentazione dei congressi, oppure i diversi libri che (encomiabilmente) sono stati pubblicati negli ultimi anni, soprattutto di carattere storico ed economico. Però i congressi e i libri hanno il limite di “divagare poco”, oppure di essere troppo finalizzati (argomenti specifici, decisioni da prendere), mentre il dialogo deve essere un poco ondivago, deve riferirsi a particolari, deve essere istantaneo e poter oscillare tra il superficiale e lo specialistico. Soprattutto deve poter permettere la discussione ravvicinata: io dico, tu rispondi, io controbatto.
Ci si potrebbe chiedere il perché poi si debba dare tanta importanza al dialogo, così effimero e contingente. Rispetto a questo ho le idee abbastanza precise: perché ogni comunità che sia tale lo manifesta (anche) attraverso il dialogo e la conversazione. Un conto sono le cose da fare, le decisioni, i saggi approfonditi; un altro conto sono i pensieri condivisi, le evoluzioni sul tema, gli svolazzi mentali, le polemiche e le sfide verbali.
Ebbene, sono proprio queste ultime attività (umane e sociali) che dimostrano la volontà (e il piacere) di stare assieme e di “condividere”.
Ecco perché mi pare proprio utile che esista un luogo come il blog “La Rivista” dove provare a intessere quel dialogo (discussione e approfondimento) a cui ho appena accennato, e che vorrei provare a stimolare. Non entro subito nell’agone (avrei delle cose da dire - per esempio sul concetto di “resilienza della cooperazione”, sulla “questione generazionale”, sui risultati raggiunti dai diversi master universitari, eccetera - ma per adesso mi trattengo), però provo a lanciare qualche esca, sperando che qualcuno si lascia attrarre.
La prima esca è questa: sarebbe innanzitutto interessante costruire assieme un repertorio di questioni da trattare, se non altro per avere un’idea delle percezioni che protagonisti e osservatori hanno della cooperazione in un momento complicato e difficile come quello che stiamo vivendo.
Ho detto proprio “protagonisti e osservatori” perché mi piacerebbe, da un lato, che i cooperatori dicessero “ecco, secondo me una questione che sento come fondamentale e su cui ragionare è questa”; e mi piacerebbe, dall’altro lato, che gli osservatori (innanzitutto i diversi studiosi che fortunatamente hanno continuato a ragionare di cooperazione) dicessero come la vedono, la cooperazione, soprattutto che ci dicessero la loro sul fatto se “la cooperazione ce la fa o no”.
La seconda esca è un poco più sbarazzina, ma non meno potenzialmente utile (ed infine non particolarmente diversa dalla prima). Anche in questo caso è rivolta a tutti, cooperatori, osservatori, studiosi, giovani, vecchi, amici, avversari, romantici e razionalisti): se doveste definire in modo metaforico la cooperazione cosa direste?
Si tratta di un consolidato trucco d’avvio nella conduzione dei focus group: “se la vostra impresa o la vostra organizzazione fosse un film, o fosse un fiore, o fosse un animale, cosa sarebbe?”. Serve a concettualizzare una percezione. Si provi dunque a portare ai minimi termini un giudizio, senza temere le ellissi e enfasi eccessive.
La scelta del campo metaforico è del tutto libera, purché sia debitamente enunciata (“se la cooperazione fosse un gioco di società, sarebbe un Monopoli, oppure un Risiko, oppure un puzzle, oppure un rubamazzo; se le cooperative fossero dei treni sarebbero degli accelerati, delle Freccerosse, degli Orient Express, ecc.).
Quale dovrebbe essere dunque il senso de “La Rivista”? Di permettere - oltre la discussione su argomenti specifici e serissimi - l’espressione, la lateralità e il “fuori tema”, dato che la cultura cooperativa non può essere fatta solo da modelli economici o da rimembranze storiche, ma anche dalle questioni apparentemente meno rilevanti ma pure fondamentali, quelle – tanto per intenderci – che pur echeggiando nelle aule universitarie o nelle sedi istituzionali, sono poi oggetto di discussione (e dialogo) in sedi più familiari e frequentate, come i lunghi viaggi per lavoro o addirittura la macchinetta del caffé.

Mario Viviani


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